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John Sheperd e la musica per gli alieni

Creare un contatto, un punto di incontro, condividere un messaggio. La musica può essere un vero e proprio strumento di comunicazione con le sue geometrie, i suoi rapporti matematici. Ripetizioni e formule, armonia e melodia.

John Sheperd ha dedicato gran parte della sua vita nel dimostrare che “la musica è un linguaggio universale”. Un animo sensibile, una sorta di eroe romantico dei nostri tempi. Anno dopo anno, dando fondo a tutti i suoi risparmi, John Shepard ha costruito un vero e proprio laboratorio da scienziato pazzo con tanto di apparecchi tecnologici, trasmettitori e computer all’avanguardia. Tutto questo per trasmettere musica verso l’ignoto, oltre il nostro sistema solare, nella speranza che lassù, qualcuno, potesse ricevere quel segnale e risponderci.

Musica di tutti i generi, soprattutto elettronica ed esotica (la cosiddetta World Music), predilette probabilmente perché più matematica e quantizzata la prima, quanto tribale e legata all’istinto primario della vita la seconda.

Dal 20 agosto, “John e la musica per gli alieni”, il breve corto-documentario della sua storia diretto da Matthew Killip, è disponibile su Netflix (link).


Il sogno di un folle?

Seppur possa essere considerato il “sogno di un folle”, l’impresa di John Sheperd non può che farci riflettere sul potere comunicativo della musica. Abbiamo già approfondito in precedenza le contraddizioni e i vicoli ciechi riguardo al tema “la musica è un linguaggio universale” e questa storia offre ulteriori spunti di riflessione tanto da ricordare e rievocare la celebre scena di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg. Il grido di un uomo alla ricerca di qualcuno che possa portarlo a un livello superiore, anche solo un bisogno di essere ascoltato e capito.

Probabilmente il vero alieno è proprio lui, John Sheperd, una persona di sicuro particolare, così diversa dall’uomo comune delle campagne del Michigan, un visionario figlio dei fiori, omosessuale, con un’ossessione di raggiungere qualcuno che a noi è invisibile.

Tutto questo può portarci a riflettere su quale musica sia la più adatta ad essere fruita e compresa da una cultura così lontana dalla nostra.

Innanzitutto, la base di ogni fenomeno è il movimento, la dinamicità, il ritmo. Una cultura lontana dovrà condividere con noi una percezione del ritmo. Senza questo ogni comunicazione non sarebbe possibile, che sia verbale, scritta o musicale. Su questa base è possibile l’elaborazione di un codice a partire dalle frequenze e dai rapporti matematici costruiti attorno ad esse.

Ma non è proprio quello che è successo con il nostro modo di percepire e vivere la musica? Dai canti tribali alla dodecafonia la storia della Musica è la storia di un linguaggio che si è evoluto da semplici e primordiali percussioni ad elaborate sequenze concettuali. Per una cultura come la nostra, egocentrica e globalizzata, è difficile pensare ad un concetto di linguaggio universale della musica a livello oggettivo.

Probabilmente con esseri diversi da noi sarebbe ancora più complicato, in quanto anche gli archetipi presenti nel profondo di ogni istinto umano verrebbero meno. Tuttavia, la poetica della fantascienza ci apre le porte a una spinta verso nuovi orizzonti, al vedere e capire il mondo non più attraverso i nostri occhi, ma cercando di raggiungere una nuova comprensione grazie al diverso. E in questo mondo c’è bisogno di persone disposte a realizzare i propri sogni, persone capaci di mettere in discussione le contraddizioni dei nostri tempi, persone come John Sheperd.

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La musica potrebbe essere un linguaggio universale – I suoni binaurali

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Esistono domande scomode, quasi proibite. Spesso ci si concentra sul dettaglio tralasciando la forza primigenia, l’archè (ἀρχή), per dirla con un termine caro alla filosofia greca. Il musicologo, come un moderno Socrate, deve utilizzare tutta la sua energia maieutica per rispondere alla grande domanda: “Che cos’è la musica?”

Il tema è complesso e il lavoro di musicologica ruota attorno a questo concetto fin dalle sue origini.

Quello che la maggior parte delle persone intende come musica è in realtà una piccola percentuale di quello che la Musica è. La forza della Musica si propaga nella cultura, nella geometria, nelle arti e anche nelle scienze.

Per identificare la Musica come un linguaggio universale dovremmo riuscire a separarla dal concetto che ne abbiamo nella cultura e scoprirla attraverso altre angolazioni. Un linguaggio universale deve, per definizione, funzionare, essere compreso, allo stesso modo per ogni uomo, indiscriminatamente, al di là di ogni luogo di origine, epoca e cultura. La musica “occidentale” è un codice “occidentale” e, nonostante la globalizzazione abbia avvicinato le diverse culture, alcune differenze permangono e persistono.

La musica indiana, in ere antiche, ha avuto un’intuizione per cerca di creare un linguaggio musicale universale (ne ho parlato qui).  Un campo di studi molto più recente e che, in futuro, potrebbe portare a risultati interessanti riguarda i cosiddetti suoni binaurali.


I suoni binaturali

Il concetto si collega direttamente al fenomeno dei battimenti, un’interessante effetto vibratorio scoperto dalla Fisica acustica. Il battimento si genera quando un’oscillazione vibratoria di un corpo che produce un suono si scontra con un’oscillazione vibratoria di un altro suono di frequenza diversa ma vicina. Vengono a crearsi contemporaneamente due sinusoidi che, interagendo e sovrapponendosi tra loro, portano l’orecchio a percepire “note” aggiuntive, diverse dalle due vibrazioni d’origine

Nel caso dei suoni binaurali l’effetto è ancora più sorprendente perché è previsto l’utilizzo di auricolari, in modo da poter ascoltare due suoni di frequenza diversa da un orecchio all’altro. Per esempio, immaginiamo che nell’orecchio destro venga fatto pulsare un suono a 195 Hz, mentre nell’orecchio sinistro un suono a 190 Hz. Il nostro cervello cercherà automaticamente di compensare la differenza portando la propria frequenza cerebrale a 5 Hz

Il fenomeno venne scoperto per la prima volta nel 1839 dallo scienziato prussiano Heinrich Wilhelm Dove, ma la sua applicazione ed efficacia è ancora in fase di studio. Molto considerato dalla cultura New Age per la sua non ancora dimostrata capacità di favorire stati meditativi, il fenomeno dei suoni binaurali potrebbe essere un nuovo e rivoluzionario strumento per applicazioni mediche e terapeutiche.

Una musica “diversa”, certamente lontana dalla nostra concezione di musica occidentale legata più allo svago e all’evasione.

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Non è un caso se le note sono sette come i colori dell’arcobaleno

L’arcobaleno è forse la magia più affascinante che il cielo ci regala. Quando i raggi del sole alla giusta inclinazione incontrano delle goccioline di pioggia nasce una meraviglia che è impossibile non soffermarsi ad ammirare. Un arco di sette colori: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto.

Come per ogni numero di magia sarebbe meglio godersi lo stupore e non cercare di svelarne il trucco; anche se una fredda e calcolata spiegazione scientifica c’è e dovremmo risalire agli studi di uno dei più famosi scienziati della storia: Isaac Newton.

Fu “grazie” ad un’epidemia che nacque la scienza dell’arcobaleno di Newton. Tra l’agosto 1665 e l’aprile 1667, quando Londra era invasa da una terribile peste, il giovane Newton, allora 23enne, si rifugiò in quarantena volontaria in campagna, nella tenuta di famiglia nel Lincolnshire, a Woolsthorpe.

Newton sfruttò quel periodo dedicandosi a tempo pieno allo studio e allo sviluppo di diverse teorie ed esperimenti che poi rivoluzioneranno la storia della scienza.

Ciò accadeva durante gli anni della peste del 1665 e 1666; infatti in quei giorni ero nel fiore degli anni quanto alle invenzioni, e mi occupavo di matematica e di filosofia più che in qualsiasi altro periodo successivo.  

Fu proprio in un periodo di quarantena nel lontano Seicento che Isaac Newton intuì che la luce bianca che noi vediamo in realtà è composta da particelle di colori differenti e riuscì a dimostrarlo servendosi di un prisma triangolare: la luce bianca del sole, attraversandolo, veniva scomposta nei sette colori dello spettro formando un arcobaleno artificiale.

La copertina di “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd.
L’arcobaleno più famoso della storia della musica.


Inizialmente Isaac Newton individuò cinque gradazioni di colore (rosso, giallo, verde, blu e violetto) per poi aggiungere anche l’arancione e l’indaco, per analogia alle sette note musicali. Newton mise in diretta analogia i fenomeni acustici con quelli ottici e osservò una forte corrispondenza tra i sette colori dell’arcobaleno e le sette note della scala musicale. In una lettera del 1675 scriveva che:

È possibile che il colore possa essere distinto nei suoi principali gradi, rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto scuro, con lo stesso principio per cui il suono in una ottava è graduato in toni.
– Isaac Newton

L’opera principale di Newton sull’ottica dal titolo “Opticks” fu pubblicata a Londra nel 1704 e torna ancora sull’argomento. Newton notò che la geometria dello spettro visibile coincideva con la geometria metrica di una particolare successione di toni musicali, in modo tale che: «i colori rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola [sono] proporzionali alle differenze di lunghezza di un monocordo che suona i toni di un’ottava: sol, la, fa, sol, la, mi, fa, sol. [Cioè sono] proporzionali ai numeri 1, 8/9, 5/6, 3/4, 2/3, 3/5, 9/16, 1/2 che esprimono le lunghezze di un monocordo che suona le note di un’ottava». [Isaac Newton, “Opticks”, 1704, pp. 295, 305].

Newton, forse il più grande scienziato della storia, era convinto che in analogia con le note musicali i colori primari fossero sette (forse anche per il valore mistico che ha questo numero) e inserì l’indaco tra il Si e il Do, come disegnò in questa immagine:

Nello schema Newton assegna ad ogni colore un arco diverso in funzione di corrispondenze che egli pensa che i colori abbiano con le sette note musicali (qui scritte in notazione alfabetica).

I colori in un arcobaleno sfumano l’uno nell’altro, non sempre riusciamo a distinguerli bene tutti, così successivamente l’indaco è stato declassato a sfumatura di blu tanto che oggi sarebbe più preciso dire che i colori dell’arcobaleno sono sei. A voler essere pignoli nemmeno le note sono solo 7…

Si sono poi sviluppate tantissime teorie, diverse tra loro, che legano insieme note e colori per il loro significato simbolico, filosofico, psicofisico o armonico. Ma alle volte è meglio soffermarsi ad ammirare la magia.

Non troverai mai arcobaleni se guardi in basso. [Charlie Chaplin]

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Il suono dello spazio, un concerto di elettroni

Nello spazio cosmico non ci sono suoni, vige il silenzio. La musica trasmessa da una fonte sonora o un ipotetico violino suonato da un astro-musicista sarebbero silenti, al nostro orecchio non arriverebbe nessuna nota. Non si udirebbero nemmeno gli spari nelle battaglie tra navicelle spaziali dei film di fantascienza o il fragore di una stella che esplode.

O almeno questo è quello a cui siamo sempre stati portati a pensare.

Il suono per la Fisica è un fenomeno acustico prodotto dal movimento (l’onda sonora) di particelle (atomi e molecole) trasmesso nell’ambiente circostante grazie ad un mezzo fisico di propagazione (come l’aria). Un classico esempio è quello del sasso gettato nello stagno che provoca una serie di onde concentriche che si propagano nell’acqua.

In realtà recenti studi di fisica quantistica hanno scoperto che, anche se nello spazio non c’è aria che possa far propagare il suono, ciò non significa che non ci siano suoni nello spazio. Oltre all’onda acustica esiste anche un’onda elettromagnetica creata dalla contemporanea propagazione di un campo elettrico e un campo magnetico, capace di generare una vibrazione e quindi un suono.

Lo spazio non è vuoto, ma è pieno di particelle cariche elettricamente che a contatto con un gas fluttuante, il plasma, sprigionano delle onde a loro volta influenzate da campi elettrici e magnetici. Queste particolari onde non sono altro che interazioni tra particelle elettromagnetiche provenienti dal vento solare e dalla magnetosfera dei pianeti che possono essere convertite in suoni.

È quello che è riuscita a fare la NASA ottenendo così il suono dello spazio, una sorta di “concerto” di elettroni. Una sinfonia di fischi che possono ricordare il verso di uccelli tropicali, sibili simili a quelli delle pistole della saga di Guerre Stellari e fruscii inquietanti.

E per le galassie più lontane?

Esiste un metodo artificioso chiamato sonificazione capace di trasformare le immagini del cosmo in suoni, fino a realizzare vere e proprie composizioni. La luce delle stelle e di altre sorgenti luminose viene convertita in note che aumentano di volume all’aumentare dell’intensità della luce emessa. Le nubi di gas e polveri invece creano delle variazioni armoniche in evoluzione.

Ecco un “concerto galattico” nel cuore della Via Lattea, a circa 26.000 anni luce dalla Terra.


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A miliardi di chilometri di distanza dalla Terra una speciale playslist si sta dirigendo verso nuovi ascoltatori.  Se una civiltà aliena incontrasse i veicoli spaziali Voyager 1 o Voyager 2 troverebbe al loro interno il Voyager Golden Record, un disco contenente – tra altre cose – la musica di Bach, Mozart, Beethoven, il gamelan indonesiano, i canti Navajo, “Johnny B. Goode” e molto altro…

La storia del Voyager Golden Record inizia il 20 agosto e il 5 settembre 1977 quando da Cape Canaveral furono lanciate due sonde spaziali per fotografare da vicino i pianeti esterni del nostro sistema solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) e destinate in seguito a uscire dalla zona d’influenza del Sole e continuare il loro viaggio, forse per sempre. Ad oggi sono i primi oggetti costruiti dall’uomo ad aver superato i confini del nostro sistema solare ed essere entrati nello spazio interstellare.

Un progetto degli Stati Uniti d’America capitanato da Carl Sagan (divulgatore scientifico, scrittore di fantascienza e tra i più famosi astronomi, astrofisici, astrobiologi ed astrochimici del Novecento) a cui la Nasa affidò l’incarico di ideare un messaggio da consegnare ad una ipotetica civiltà aliena. Una specie di biglietto da visita che potesse raccontare l’Umanità e la vita sulla Terra.

Carl Sagan progettò il “Voyager Golder Record” un disco in rame placcato oro del diametro di 30 centimetri. Su un lato del disco sono disegnate in forma schematica le indicazioni sul contenuto e le istruzioni per estrarne le informazioni, da leggersi con l’apposita puntina che si può trovare a bordo della sonda. Sulla superficie è stata anche incisa questa frase:

“To the makers of music – all worlds, all times”

Il disco contiene 115 immagini che mostrano le più significative esperienze di vita umane e descrivono il nostro Pianeta e il Sistema Solare, tra cui la spirale del DNA, disegni anatomici, la foto di una donna al supermercato, una mamma che allatta, una famiglia che mangia… le potete vedere al sito ufficiale della Nasa cliccando qui. La sezione audio contiene invece una collezione di suoni naturali, come il rumore del vento, dei tuoni o i versi di alcuni animali; i saluti in 55 lingue diverse (l’italiano parte al minuto 1 e 54 secondi e dice “tanti auguri e saluti”); un messaggio del presidente Carter e del segretario generale delle Nazioni Unite dell’epoca, Kurt Waldheim e poi… 90 minuti di musica.

Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.

Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti d’America

La selezione musicale è alquanto bizzarra e curiosa: contiene una ideale rappresentazione di tutte le musiche del mondo. Vi riporto la lista dei 27 brani:

  1. Bach – Primo movimento, Concerto brandeburghese n. 2 in Fa
  2. “Puspawarna” (“Tipi di fiori”), gamelan dell’isola di Giava
  3. Percussioni senegalesi
  4. Canzone dell’iniziazione delle donne pigmee
  5. “Morning Star” e “Devil Bird”, canzoni degli aborigeni australiani
  6. Lorenzo Barcelata e i Mariachi Messicani – “El Cascabel” 
  7. Chuck Berry – “Johnny B. Goode”
  8. Canzone della casa dell’uomo, canto della Nuova Guinera
  9. Goro Yamaguchi – “Tsuru No Sugomori” (Giappone)
  10. Bach – “Gavotte en rondeaux” dalla Partita n. 3 in Mi maggiore per violino
  11. Mozart – Aria della Regina della Notte, da “Il flauto magico”
  12. “Tchakrulo,” coro dalla Georgia
  13. Daniel Alomìa Robles – “Condor Pasa”
  14. Louis Armstrong and his Hot Seven – “Melancholy Blues”
  15. “Mugam”, cornamusa dall’Azerbaigian
  16. Stravinsky – Danza sacrificale da “La sagra della Primavera”
  17. Bach – Preludio e fuga n. 1 in Do maggiore da “Il clavicembalo ben temperato, libro II”
  18. Beethoven – Sinfonia n. 5, Primo movimento Allegro con brio
  19. Valya Balkanska – “Izlel je Delyo Hagdutin” (Bulgaria)
  20. Canto notturno degli Indiani Navajo
  21. Holborne – “The Fairie Round” da Pavans, Galliards, Almains and Other Short Airs
  22. Musica dalle Isole Salomone
  23. Canto matrimoniale dal Perù
  24. Bo Ya – Liu Shui (“Flowing Streams”), Cina
  25. “Jaat Kahan Ho”, raga indiano
  26. Blind Willie Johnson – “Dark was the night, cold was the ground”
  27. Beethoven – Cavatina dal Quartetto n. 13 op. 130 in Si bemolle

Delle scelte che inevitabilmente hanno fatto discutere, ad esempio non è presente nessun compositore italiano. I contenuti del Voyager Golder Record sono stati facilmente criticati per dare messaggi confusi: i 55 saluti ascoltati così uno dopo l’altro posso dare l’idea di qualcosa di ingarbugliato (per alcuni potrebbe quasi sembrare una lite tra diverse persone), come quelle 115 immagini più disparate unite ai suoni della natura e ai versi degli animali.

Ciò che stupisce è la grande e vasta presenza della musica. Immagino il fortunato alieno di una galassia lontanissima alle prese con questo strano aggeggio: di sicuro penserebbe che la musica (o quantomeno quei 90 minuti di armoniose frequenze) abbia una grande importanza per questa lontana civiltà. E infatti non è forse così? Tra l’altro hanno scelto di inviare il nostro messaggio proprio su un disco!

La navicella potrà essere trovata e la registrazione visualizzata solo se esistono civiltà avanzate che viaggiano nello spazio interstellare. Ma il lancio di questa bottiglia nell’oceano cosmico è un messaggio di grande speranza circa la vita su questo pianeta.

Carl Sagan

È un messaggio forte, che nel bene o nel male, fa riflettere. Anche se dobbiamo inevitabilmente mettere in conto che il nostro alieno potrebbe non riuscire a decifrare il messaggio, oppure potrebbe non possedere il senso dell’udito o le onde sonore potrebbero non espandersi nella sua atmosfera. E anche se riuscisse ad ascoltarci, che idea potrebbe farsi di tutta questa diversa vastità sonora, musicale?

Qui non si tratta di scegliere i 10 dischi preferiti da potare su un’isola deserta, voi che playlist avreste fatto per il Voyager Golden Record?

Qui il contenuto audio del “Voyager Golden Record”.
Al minuto 21:44 inizia la sezione musicale



In occasione del 40esimo anniversario del lancio è stata pubblicata un’edizione speciale del Voyager Golden Record in 3 vinili e un libro dove viene presentata la sua storia. Lo potete acquistare cliccando qui.

Sul sito ufficiale della Nasa https://voyager.jpl.nasa.gov/ potete trovare tutte le informazioni sul viaggio delle due sonde spaziali Voyager, la descrizione dettagliata dei contenuti del Voyager Golden Record e la storia della sua realizzazione.

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Pitagora: la musica, la matematica e l’Armonia delle Sfere

Pitagora lo conosciamo tutti. È uno di quei personaggi importanti che si studiano a scuola e per un motivo o per l’altro non si scordano più. È stato un pensatore, matematico, filosofo vissuto nel VI secolo a. C., nato a Samo venne in Italia e fondò la sua scuola a Crotone. Lo ricordiamo soprattutto per il suo famosissimo teorema, rispolveriamo la memoria: in ogni triangolo rettangolo l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti.

Quello che forse viene poco raccontato è quanto le scoperte di Pitagora siano state fondamentali anche in campo musicale. La filosofia pitagorica concepì la musica come elemento che, assieme alla matematica, coinvolge tutto l’Universo. Il concetto di Musica come scienza della ragione e come qualcosa di immutabile è una scoperta da cui prenderà vita, nei secoli successivi, quella che chiamiamo la civiltà musicale occidentale.

Narra la leggenda che tutto cominciò circa 2.500 anni fa nella bottega di un fabbro. Si racconta che Pitagora, durante le sue passeggiate, vi passasse spesso accanto; un giorno prestò particolare attenzione ai diversi suoni squillanti prodotti dai martelli sulle incudini e si domandò come mai alcuni fossero così piacevoli, armoniosi, se accostati tra di loro. Entrò e capì che responsabili dei diversi suoni prodotti erano i diversi pesi dei martelli.

immagine da: Gaffurio “Theorica Musicae” 1492

Pitagora ripeté l’esperimento su un monocordo, strumento composto da una sola corda tesa sopra una cassa di risonanza. Pizzicando la corda si ottiene un determinato suono, Pitagora scoprì che dimezzando corda e pizzicandone la parte dimezzata si ottiene un altro suono che ben si lega con il primo: è lo stesso suono, ma di un’altezza diversa. Pitagora ha scoperto così che con un rapporto di numeri, in questo caso 2:1, si può descrivere un rapporto armonico musicale che oggi chiamiamo intervallo di ottava (è la distanza, ad esempio, tra un Do e il Do successivo).

Pitagora è andato oltre: ha diviso la corda in 3 parti e ha scoperto un altro suono armonico molto importante, l’intervallo di quinta, che è in rapporto di 3:2 (es. distanza tra Do e Sol). Dividendo ancora la corda 4 parti e pizzicandola in un rapporto di 4:3 otteniamo un intervallo di quarta (ad esempio tra Do e Fa)

Utopia Razionale: Pitagora e Mondrian, conferenza tenuta all ...

Pitagora quindi scoprì che i primi quattro numeri interi (1, 2, 3, 4) creano tra di loro rapporti fondamentali e interessanti, trovò le forme universali della consonanza: 2:1 (ottava); 3:2 (quinta); 4:3 (quarta). Oggi sappiamo che questi rapporti tra le note corrispondono alle frequenze, a quell’epoca non si poteva sapere.  Pitagora scoprì i suoni della scala diatonica e molti degli intervalli che ancora oggi governano le regole dell’acustica musicale occidentale.

Inoltre, se sommiamo proprio questi primi quattro numeri (1 + 2 + 3 + 4) otteniamo come risultato 10, il numero “magico” dei Pitagorici che si può rendere graficamente con un oggetto matematico chiamato Tetraktys.

Un oggetto incredibilmente semplice e altrettanto incredibile, venerato dai Pitagorici. Perfetta ed esemplare riduzione del numerico allo spaziale e dell’aritmetico al geometrico. La Tetraktys simboleggiava la perfezione del numero e degli elementi che lo comprendono, era il paradigma numerico della totalità dell’Universo.


L’armonia delle sfere

Profondamente colpito da questo legame tra musica e numeri, Pitagora trasse la conclusione che “il numero è sostanza di tutte le cose” e che quindi tutto fosse misurabile e si potesse descrivere in maniera razionale con numeri interi.

Si poteva così spiegare il moto degli astri, il succedersi delle stagioni, i cicli delle vegetazioni e le armonie musicali. La grande importanza dei Pitagorici è che per primi hanno ricondotto la natura all’ordine misurabile e hanno riconosciuto in quest’ordine ciò che dà al mondo la sua unità, la sua armonia e quindi anche la sua bellezza.

I Pitagorici, scrive Aristotele, vedendo che molte delle proprietà dei numeri appartengono ai corpi sensibili, stabilirono che gli esseri sono numeri, non numeri separati, ma quelli di cui consistono. E perché? Perché le proprietà che appartengono ai numeri risiedono nell’armonia, nel cielo e in molte altre cose.

(Met., XIV, 3, 1090 a 21 sgg.)

Pitagora e i suoi seguaci teorizzarono l’idea di un Universo governato da proporzioni numeriche armoniose che determinavano il movimento dei corpi celesti e le distanze tra i pianeti corrispondevano ai rapporti numerici degli intervalli musicali.

La rotazione dei pianeti nello spazio venne associata ad una sinfonia musicale chiamata “Armonia delle Sfere”: una musica celestiale, bellissima, che le nostre orecchie non riescono più a percepire perché da sempre abituate a sentirla. Un po’ come quando si sta a lungo accanto ad un fiume e ci si abitua al fragore delle acque.

Tutto quanto si svolge nel cielo e sulla terra è sottomesso a leggi musicali.

Cassiodoro (VI sec.)

Di origine pitagorica sono anche le tradizionali associazioni delle sfere planetarie alle sette corde della lira e dei sette pianeti ai sette suoni formati da due tetracordi (due scale composte da 4 suoni) che si uniscono tra loro e coincidono in una nota comune, in origine la corda centrale sulla quale si regolava l’accordatura. A questa nota centrale i pitagorici identificarono Apollo, il dio dell’armonia cosmica, e il Sole al quale, data la sua posizione mediana nell’ordine che si dava all’epoca alle sfere celesti, si attribuiva un’azione di vincolo e di coesione tra i restanti pianeti.

Le proporzioni dell’universo armonicamente riferite al monocordo in un’opera di Robert Fludd (1574-1637)

La rappresentazione pitagorica dell’universo come armonia ebbe molto successo nell’antichità, ne parlarono Platone, Aristotele, Claudio Tolomeo, Cicerone. Fino ad arrivare a Boezio (sec. V-VI d.C.) e alla sua famosa tripartizione della musica:
musica mundana (armonia delle sfere, macrocosmo);
musica humana (armonia interiore, musica dell’anima, microcosmo);
musica instrumentalis (musica strumentale, nel senso che noi comprendiamo oggi). 

A Boezio si deve anche la codificazione delle Arti Liberali che nel Medioevo costituivano i due gradi dell’insegnamento, l’uno letterario (Trivium) e l’altro scientifico (Quadrivium), e ovviamente la Musica era tra le materie fondamentali della sfera scientifica:
Trivium: grammatica, retorica, dialettica;
Quadrivium: aritmetica, geometria, musica, astronomia.

Anche Dante ne parlò esplicitamente in diversi punti della “Divina Commedia” e nel “Convivio” dove, ribadita l’intima corrispondenza tra i primi sette cieli e le dottrine del Trivium e del Quadrivium, alla Musica è assegnato il cielo di Marte. Per il Sommo Poeta è la relazione più bella dei cieli: essendo complessivamente nove, alla Musica è assegnato il quinto posto, quello più importante e centrale.

E queste due propietadi sono nella Musica: la quale è tutta relativa, sì come si vede nelle parole armonizzate e nelli canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa s’intende. Ancora: la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve lo suono.

Dante, Convivio (tratt. 2.13)

Dante Alighieri e Beatrice contemplano l’Empireo
(illustrazione di Gustave Doré)
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Vedere l’armonia: il suono si fa forma

“La Musica è un esercizio aritmetico della mente che conta senza sapere di contare” (Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi) scriveva Leibniz, rifacendosi alle teorie pitagoriche secondo cui il segreto dell’armonia risiede nel potere magico dei numeri.

Ascoltare una bella melodia e pensare che risponda a specifici rapporti matematici è qualcosa di molto astratto, soprattutto per chi non è un musicista. Studiando la teoria musicale si scopre come tutto segua delle regole precise. Nel Medioevo, ad esempio, la Musica (“ars musica”) veniva insegnata nel Quadrivio insieme alle discipline attribuite alla sfera matematica (aritmetica, geometria, astronomia).

La Musica può essere descritta in senso formale come una serie di eventi sonori disposti nel tempo: ogni nota ha una sua funzione perché inserita all’interno di un sistema di relazioni spiegato dalla scienza dell’armonia. Ad esempio, nel sistema musicale occidentale possiamo pensare alla scala di Do maggiore, costituita da 7 suoni diversi per numero di vibrazioni (la frequenza) ai quali per convenzione diamo i nomi di: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La Si.

Come gradini di una scala, questi 7 suoni sono distanti tra loro e la distanza tra un suono e l’altro viene chiamata “intervallo” che quindi rappresenta la differenza di altezza tra due note.

Tornando alla nostra scala di Do maggiore: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La Si e poi nuovamente Do (se vogliamo proseguire e salire sempre di più) il secondo Do è un suono diverso dal primo, è più acuto. Porta sempre il nome di Do perché ha una somiglianza speciale con il primo: ha un numero doppio di vibrazioni per secondo (stanno in rapporto di 2:1) e si dice per convenzione che è all’ottava superiore del primo (in quanto è l’ottavo suono dopo il Do iniziale). Tra Do e Re c’è un intervallo di seconda, tra Do e Mi di terza, tra Do e Fa di quarta e via dicendo.

La distanza tra due note quindi è definita da un ben determinato rapporto numerico: il rapporto delle frequenze di quelle due note. Il discorso è molto complicato da spiegare brevemente, ma spero questo accenno possa far intuire come i suoni delle scale musicali siano collegati tra loro da precisi rapporti matematici.

I rapporti tra le note creano armonia non solo all’udito, ma anche nella forma ed esiste un modo per vedere queste misteriose frequenze e il rapporto magico che creano tra di loro.
Guardate com’è il rapporto di ottava, la distanza tra i due Do di cui parlavamo prima.

Ricorda il numero otto e anche il simbolo dell’infinito. Questa scoperta si deve al matematico francese Jules Lissajous, che a metà del XIX secolo scoprì come proiettare una vibrazione sonora su uno schermo. L’esperimento consiste nel proiettare un raggio luminoso tra le forcelle di un diapason (uno strumento musicale di metallo a forma di U che vibrando produce suoni di un’altezza perfettamente determinata); con un gioco di specchi, il raggio riflette la vibrazione su uno schermo producendo un’onda sinusoidale.

Aggiungendo un altro diapason e sommando due diverse vibrazioni Lissajous scoprì che producevano forme bellissime, oggi conosciute come “figure di Lissajous”, possono essere considerate come l’espressione geometrica dell’armonia musicale.

Erano le prime immagini dell’armonia. Dopo tanta teoria Lissajous ha dimostrato come l’unione di due particolari note in “armonia” tra loro crea non solo suoni armonici, ma anche forme armoniche.

La musica deriva da principi matematici capaci di creare complessità, armonia, varietà e bellezza.

A questo link viene riproposto l’esperimento di Lissajous con i due diapason e il gioco di specchi, proprio come doveva averlo ideato lo scienziato francese.

Mentre grazie alla tecnologia oggi possiamo osservare queste particolari onde con immagini più chiare e dirette:


Infine, una vera magia.

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Il suono muove la materia, guarda cosa può fare la musica

fiamme mosse dalla musica, cimatica


“La musica è il linguaggio magico del sentimento” è una definizione che mi è sempre piaciuta, a discapito dei freddi rapporti artificiosi dell’armonia. Musica e regole matematiche sembrano due mondi lontanissimi, invece studiando la teoria musicale si scopre come tutto segua delle regole precise. Nel Medioevo, ad esempio, la Musica (“ars musica”) veniva insegnata nel Quadrivio insieme alle discipline attribuite alla sfera matematica (Aritmetica, Geometria, Astronomia); è solo con l’età moderna che la sua parte emotiva ha guadagnato terreno.

Aspetto teorico e aspetto emotivo (almeno nella cultura musicale occidentale) sono due facce della stessa medaglia che vanno a completarsi l’un l’altra. Prendendo a prestito la filosofia di Eraclito: l’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia.

Ascoltare una bella melodia e pensare che risponda a specifici rapporti matematici ha un fascino misterioso studiato da una branca della Fisica: l’acustica. È la scienza teorica e sperimentale del suono che studia i fenomeni relativi alla produzione e propagazione delle onde sonore, le leggi che regolano la vibrazione dei corpi, la loro applicazione nella teoria musicale e negli strumenti, la ricezione del suono etc.

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Il suono si muove nello spazio sotto forma di vibrazioni e si propaga per onde sferiche in modo uniforme in tutte le direzioni decrescendo man mano che aumenta la distanza (il classico esempio del sasso gettato nello stagno che crea tutta una serie di onde concentriche). Sono lontani ricordi di scuola e ora non vorrei dilungarmi in formule e diagrammi. Analizzare i rapporti con cui le discipline acustiche della Matematica e della Fisica indagano la Musica non chiarisce nulla del suo pathos, ma possono realizzare una magia: far “vedere” la musica e cosa può fare una musica.

Se si prende una lastra metallica cosparsa di sabbia finissima, la si collega ad un altoparlante e si fa partire una musica guardate cosa succede: al variare delle frequenze i granelli si spostano sulla lastra creando geometrie perfette. Sembrano dei bellissimi mandala.

L’esperimento, conosciuto come “lastre di Chladni”, prende il nome dal musicista e fisico tedesco Ernst Chladni che iniziò a studiare questi fenomeni di acustica già alla fine del 1700. Lo studio venne poi ripreso dal medico svizzero Hans Jenny nel 1967 che ne coniò anche il nome: “cimatica” (dal greco kyma “onda”) che significa “studio riguardante le onde”.

La cimatica è un portale sul mondo invisibile del suono.

Ascoltare una musica crea emozione, suggestione, può trasportare in mondi immaginari meravigliosi grazie alla fantasia e alla sensibilità di chi ascolta. Nel caso di questi esperimenti invece la spiegazione è scientifica, ma non meno affascinante e misteriosa. D’altronde lo aveva già detto Pitagora: “la geometria delle forme è musica solidificata.

La cimatica ha ispirato anche il musicista neozelandese Nigel Stanford che ha realizzato una serie di esperimenti facendo interagire la musica con diversi materiali: acqua, fuoco, sabbia e anche le bobine di Tesla. Il risultato è un video da 28 milioni di visualizzazioni. Impressionante, affascinante.

Cosa può fare una musica? Ascoltate Guardate:


Se questi esperimenti di Cimatica vi hanno incuriosito, consiglio di visitare anche il suo sito ufficiale https://nigelstanford.com/Cymatics/ per curiosare nei “dietro le quinte” e scoprire tutto quello che la musica può fare!

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Musica, alieni e viaggi nello spazio-tempo


Non è più solo fantascienza, aveva ragione Interstellar: i viaggi nello spazio-tempo sono possibili. Ma non sto parlando di wormhole e altri complicati esperimenti da laboratorio, è tutto molto più semplice e lo facciamo sempre da sempre, senza accorgercene. La Musica è una macchina del tempo! È uno dei suoi superpoteri o una delle sue magie.

Le prime note di una melodia posso portarci all’istante in un luogo lontano nel tempo e nello spazio. Può succedere, ad esempio, di ascoltare distrattamente qualcosa alla radio e ritrovarsi all’improvviso ad una festa dei tempi del liceo, a ridere con un vecchio amico, a vivere un amore. Cambiano i colori, i vestiti, i profumi… siamo altrove. Quando la musica finisce e ci ritroviamo qui e ora, non può essere passato solo il tempo di quella canzone, abbiamo la sensazione di aver vissuto più di quei 3 minuti d’orologio. Abbiamo viaggiato nel tempo? Cos’è successo?

Una risposta affascinante e suggestiva l’ho trovata in questo dialogo tra Stefano Bollani e Igor Sibaldi, si parlava di alieni e di che effetto farebbe la musica ad un extra-terrestre in visita sulla Terra.

Dialoghi tra Alieni con Stefano Bollani, Mauro Biglino, Anne Givaudan, Igor Sibaldi


Dice Sibaldi: «Penso che un alieno sarebbe molto colpito da come la musica modifica la percezione del tempo. Probabilmente il mio alieno ideale avrebbe una percezione del tempo migliore della nostra. Noi abbiamo un’idea del tempo molto discreta, molto suddivisa, e pensiamo che esista un altro tempo, l’eternità, che è solo un assurdo prolungamento del nostro tempo in cui l’orologio andrà avanti per sempre… una noia tremenda!

Invece “eternità” da sempre è un “non tempo” in cui entriamo ogni volta che sentiamo una musica che ci piace moltissimo, anche una canzone. Noi sentiamo una canzone che dura 2 minuti e 28 secondi, quando è finita e vediamo che è durata 2 minuti e 28 secondi questa informazione non ci dice niente. Non era “2 minuti e 28 secondi”, era un altro tempo che invece di procedere sulla linea retta, si allargava.

Immagino che l’alieno, il mio alieno ideale, direbbe: “Ah, guarda! Hanno capito anche loro che esistono altri tempi. Che c’è anche un tempo che si allarga e si contrae. Bravi uomini che se ne sono accorti!».

È davvero solo una suggestione?