Creare un contatto, un punto di incontro, condividere un messaggio. La musica può essere un vero e proprio strumento di comunicazione con le sue geometrie, i suoi rapporti matematici. Ripetizioni e formule, armonia e melodia.
John Sheperd ha dedicato gran parte della sua vita nel dimostrare che “la musica è un linguaggio universale”. Un animo sensibile, una sorta di eroe romantico dei nostri tempi. Anno dopo anno, dando fondo a tutti i suoi risparmi, John Shepard ha costruito un vero e proprio laboratorio da scienziato pazzo con tanto di apparecchi tecnologici, trasmettitori e computer all’avanguardia. Tutto questo per trasmettere musica verso l’ignoto, oltre il nostro sistema solare, nella speranza che lassù, qualcuno, potesse ricevere quel segnale e risponderci.
Musica di tutti i generi, soprattutto elettronica ed esotica (la cosiddetta World Music), predilette probabilmente perché più matematica e quantizzata la prima, quanto tribale e legata all’istinto primario della vita la seconda.
Dal 20 agosto, “John e la musica per gli alieni”, il breve corto-documentario della sua storia diretto da Matthew Killip, è disponibile su Netflix (link).
Il sogno di un folle?
Seppur possa essere considerato il “sogno di un folle”, l’impresa di John Sheperd non può che farci riflettere sul potere comunicativo della musica. Abbiamo già approfondito in precedenza le contraddizioni e i vicoli ciechi riguardo al tema “la musica è un linguaggio universale” e questa storia offre ulteriori spunti di riflessione tanto da ricordare e rievocare la celebre scena di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg. Il grido di un uomo alla ricerca di qualcuno che possa portarlo a un livello superiore, anche solo un bisogno di essere ascoltato e capito.
Probabilmente il vero alieno è proprio lui, John Sheperd, una persona di sicuro particolare, così diversa dall’uomo comune delle campagne del Michigan, un visionario figlio dei fiori, omosessuale, con un’ossessione di raggiungere qualcuno che a noi è invisibile.
Tutto questo può portarci a riflettere su quale musica sia la più adatta ad essere fruita e compresa da una cultura così lontana dalla nostra.
Innanzitutto, la base di ogni fenomeno è il movimento, la dinamicità, il ritmo. Una cultura lontana dovrà condividere con noi una percezione del ritmo. Senza questo ogni comunicazione non sarebbe possibile, che sia verbale, scritta o musicale. Su questa base è possibile l’elaborazione di un codice a partire dalle frequenze e dai rapporti matematici costruiti attorno ad esse.
Ma non è proprio quello che è successo con il nostro modo di percepire e vivere la musica? Dai canti tribali alla dodecafonia la storia della Musica è la storia di un linguaggio che si è evoluto da semplici e primordiali percussioni ad elaborate sequenze concettuali. Per una cultura come la nostra, egocentrica e globalizzata, è difficile pensare ad un concetto di linguaggio universale della musica a livello oggettivo.
Probabilmente con esseri diversi da noi sarebbe ancora più complicato, in quanto anche gli archetipi presenti nel profondo di ogni istinto umano verrebbero meno. Tuttavia, la poetica della fantascienza ci apre le porte a una spinta verso nuovi orizzonti, al vedere e capire il mondo non più attraverso i nostri occhi, ma cercando di raggiungere una nuova comprensione grazie al diverso. E in questo mondo c’è bisogno di persone disposte a realizzare i propri sogni, persone capaci di mettere in discussione le contraddizioni dei nostri tempi, persone come John Sheperd.
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