Browsing Tag

pop

musica

Perché hanno inventato Sanremo?

Non c’è bisogno di presentazioni “Perché Sanremo è Sanremo” recitava un vecchio jingle pubblicitario. È “il” festival per eccellenza, il momento in cui gli italiani da esperti di politica e allenatori di calcio diventano critici musicali. Durante la settimana di Sanremo tutto ruota intorno a Sanremo: polemiche, provocazioni, vallette, abiti e la musica è quasi un sottofondo. Tutto nella norma, perché scandalizzarsi ogni anno?

Sanremo è “lo specchio della nazione” ed è spesso oggetto di studio non tanto come fenomeno musicale, ma come fenomeno di costume e “specchio” di qualcos’altro. Raccontando i suoi 70 anni di vita si potrebbe raccontare l’Italia perché Sanremo è l’emblema della società italiana; la storia della Musica non è solo la storia delle opere, delle canzoni e dei grandi nomi: è la storia delle persone che hanno fatto, ascoltato e parlato di Musica.


Perché Sanremo è Sanremo?

Lo spiega molto bene Jacopo Tomatis nel suo libro “Storia culturale della canzone italiana” in cui racconta:

La canzone italiana così come la conosciamo – la sua “invenzione” – avviene nel corso di processi culturali più complessi, di cui Sanremo rappresenta uno dei più significativi snodi simbolici e dei quali la Rai e l’editoria musicale sono i principali attori.

Spesso si dimentica il sottotitolo del Festivàl e molte polemiche sono legate all’esclusione di determinati generi e alla “classicità” delle canzoni in gara, ma Sanremo è il festival della canzone italiana, anzi ha avuto un ruolo determinante nella costruzione dell’idea di canzone italiana che ci è familiare oggi.


Il primo articolo che il Radiocorriere ha dedicato a Sanremo nel 1951 alle porte della prima edizione lo descriveva proprio come un’iniziativa volta a valorizzare la canzone italiana «il cui intento principale è quello di promuovere un elevamento nel campo della musica leggera italiana, compatibilmente con i presupposti “popolari” propri del genere in se stesso. (…) Con una serie di iniziative, la Rai cerca appunto di promuovere la rinascita di uno spirito veramente attivo nella canzone italiana e l’acquisizione di una individualità spiccata, indirizzando in tal senso gli autori e gli editori musicali».

Il senso della manifestazione, come è noto, è quello di valorizzare ed elevare qualitativamente le espressioni della musica leggera del nostro paese.

Nunzio Filogamo, presentazione della seconda edizione del Festival di Sanremo, 1952

Quando nacque l’idea del Festival, Sanremo era mal ridotta: il teatro comunale era stato distrutto dalle bombe e c’era la voglia di tornare un’importante meta turistica iniziando con l’incrementare le visite nella stagione invernale. Siamo nel momento della ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale, il momento in cui il popolo doveva ritrovare gli ideali e il senso di patria che si era smarrito: aveva bisogno di una canzone che esprimesse tutto questo.

In quegli anni esisteva solo la radio, era la protagonista, e le canzoni diffuse divennero il simbolo della nostra società. Un senso di italianità che fonda le radici nei canti napoletani, nelle romanze ed è legata a filo doppio al “bel canto” della tradizione lirica.


Siamo riusciti a creare il tifo per la canzone

A riprova di come Sanremo nasca in un contesto di ripensamento generale delle politiche culturali della Rai, Jacopo Tomatis trova molti riferimenti in articoli di giornale e nelle rubriche radiofoniche dell’epoca in cui si parla molto spesso della volontà di valorizzare la musica leggera andando a recuperarne i suoi caratteri originari. Tutti indizi che suggeriscono come «il Festival nasca nel quadro di un progetto ben orchestrato da parte della Rai».

La nascita e il successo di una manifestazione come questa era un modo per la Rai di soddisfare la propria domanda di canzoni e rinforzare il controllo non solo sull’offerta, ma anche nei contenuti e nello stile.

La Rai era la maggior committente di musica leggera in Italia e per questo motivo il principale interlocutore dell’editoria musicale. Prima della Guerra l’Eiar (l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) non aveva un numero di adeguato di canzoni per la messa in onda e nel 1956 il problema era l’opposto: in Italia la produzione di canzoni era troppo abbondante, il successo di Sanremo aveva reso necessaria l’attivazione di concorsi per la selezione dei brani.

Il direttore del Casinò di Sanremo, Pier Bussetti, su domanda di Mario De Luigi nel 1953 sul successo delle prime edizioni commenterà alla stampa: «Siamo riusciti a creare il tifo per la canzone».

Grazie alla crescente domanda del pubblico nasceranno nuovi festival e concorsi; la stampa popolare inizierà ad occuparsi dei nuovi divi della musica leggera e “Sorrisi e canzoni” (al tempo “Sorrisi e canzoni d’Italia”) nel 1952 si aggiudica l’esclusiva sulla pubblicazione dei testi delle canzoni di Sanremo e insieme ad articoli di costume, gossip di star e jet-set, diventerà una delle riviste di maggior successo. Scrive Tomatis:

I mercati e le reti nazionali creati dai mass media in questi anni contribuiscono alla creazione di una “società italiana” quale comunità geografica percepita, diffondendo immagini (e, naturalmente, suoni) da tutta la nazione.

Come spesso dicono “l’Italia è una Repubblica fondata su Sanremo” e il resto è storia.

disCover

Vivo per… lei: da Sanremo con gli O.R.O. al successo internazionale di Bocelli e Giorgia

Siamo nella fatidica settimana di Sanremo, il momento dell’anno in cui tutta Italia parla di Musica. O almeno così dovrebbe essere, al netto delle classiche e infinite polemiche costruite o meno a tavolino. Sul palco dell’Ariston sono nate tante bellissime canzoni tra cui una che è diventata una dichiarazione d’amore per colei che dovrebbe essere la vera protagonista assoluta di questa kermesse: la Musica.

Vivo per lei da quando sai
la prima volta l’ho incontrata,
non mi ricordo come ma
mi è entrata dentro e c’è restata.
Vivo per lei perché mi fa
vibrare forte l’anima,
vivo per lei e non è un peso.

“Vivo per lei” quest’anno copie 25 anni ed è già un classico della canzone italiana, uno standard italiano moderno conosciuto nel mondo per l’indovinatissimo duetto tra Andrea Bocelli e Giorgia. In pochi però conosco la sua storia che è nata proprio sul palco di Sanremo nel 1995.

“Vivo per…” è la prima traccia dell’album di debutto degli O.R.O. (acronimo per Onde Radio Ovest) pubblicato nel 1995 dalla Sugar Music di Caterina Caselli. Gruppo nato dall’unione di cinque musicisti (Mauro Mengali, Valerio Zelli, Mario Manzani, Alfredo Golino e Cesare Chiodo) che dopo anni di esperienza e collaborazione con i nomi più importanti della musica italiana decisero di fondare un gruppo.

O.R.O. – “Vivo per…” (Sanremo Giovani 1995)


Con “Vivo per…” gli O.R.O. nel 1995 partecipano alla manifestazione “Un disco per l’estate” senza ottenere un particolare successo, ma andrà meglio qualche mese dopo quando sempre con questa canzone vincono “Sanremo Giovani” ottenendo di diritto la partecipazione al Festival l’anno seguente.

È il brano che li consacra al successo e nella versione originale degli O.R.O. era una canzone d’amore dedicata ad una donna; divenne la “Vivo per lei” che conosciamo solo dopo e come spesso succede grazie ad una serie di fortunate coincidenze. Nel 1995 Andrea Bocelli stava incidendo il suo secondo album, mancavano ancora alcune canzoni per completarlo e il suo produttore Michele Torpedine pensò al singolo degli O.R.O. e propose di farne una cover.

Torpedine volle cambiare il testo per aggiungere originalità al pezzo e si affidò a Gatto Pancieri che in quel momento stava scrivendo le canzoni per l’album “Come Thelma e Louise” di Giorgia. Fu a Pancieri che venne l’idea di cambiare la prospettiva della canzone: non una dedica d’amore ad una donna, ma alla Musica!

Ho completato il testo in macchina, venendo a Milano da Bologna, dove stavo lavorando con Giorgia C’era una nebbia fortissima, e mentre guidavo ho buttato giù le parole sul registratore che porto sempre con me. È una canzone nata di getto: a volte capita che ci siano dei parti così istintivi, che di solito portano a una grande naturalezza nel risultato. Bocelli ha sentito la canzone e si è entusiasmato.

Gatto Pancieri

Nasce così questa bellissima poesia d’amore che ha avuto la fortuna di essere interpretata da due splendide voci della musica italiana ancora una volta grazie al caso e non ad una premeditata operazione commerciale come si potrebbe pensare. Mentre Bocelli era in studio di registrazione a provare il pezzo, passò di lì Giorgia (Michele Torpedine era il produttore di Bocelli e anche di Giorgia) che si innamorò del brano e così venne l’idea di trasformarla in un duetto.

Andrea Bocelli e Giorgia – “Vivo per lei” (1995)


“Vivo per lei” fu inserita nell’album “Bocelli” insieme alla celeberrima “Con te partirò”, uno dei maggiori successi internazionali della musica italiana che lanciò il talento di Bocelli nel mondo e con cui il cantante era arrivato al quarto posto al Festival di Sanremo 1995 (il festival fu vinto da Giorgia con “Come saprei”).

“Vivo per lei” visse per un po’ all’ombra del grande successo di “Con te partirò”, ma pian piano entrò nel repertorio di molti musicisti di piano bar e nei locali di karaoke. La sua popolarità così aumentò pian piano e scoppiò definitivamente grazie al lancio internazionale della raccolta “Romanza” grazie a cui Bocelli diventerà uno dei cantanti italiani più famosi al mondo.  

disCover

All I Want for Christmas… Without You. Mariah Carey e i Beatles

Siamo a dicembre, nevica e il Natale è sempre più vicino. È il momento di Mariah Carey, perché non è Natale senza aver ascoltato almeno una volta “All I Want for Christmas is You”. Negozi, supermercati, in radio o in televisione è ovunque da 25 anni. Leggendaria tanto da rientrare ogni anno in questo periodo nelle classifiche di vendita mondiali; solo la Vigilia di Natale 2018 ha battuto ogni record di Spotify totalizzando 10,8 milioni di streaming in 24 ore.

Mariah Carey ha scritto “All I Want for Christmas is You” in 15 minuti insieme al suo fidato produttore-scrittore Walter Afanasieff, ed è stata pubblicata nel 1994 come singolo di lancio dal suo quarto album in studio dal titolo “Merry Christmas”, il primo interamente dedicato al Natale. Una buffa curiosità: l’allora marito della Carey e produttore discografico Tommy Mottola (boss della Sony e dalla Columbia) è il Babbo Natale presente nel videoclip ufficiale!

Un successo che arriva pochi mesi dopo l’uscita del terzo album “Music Box” (1993) che ha lanciato la carriera a star internazionale di Mariah Carey. “Music Box” è il suo disco più venduto con 32 milioni di copie al mondo ed è anche l’album femminile più venduto di tutti i tempi. Tra le canzoni in scaletta il singolo che l’ha portata al successo: “Without You”.

“I can’t live if living is without you, I can’t live, I can’t give anymore” l’abbiamo cantata tutti. Quale delle due sia la più amata non saprei, di certo però posso dirvi questo: “Without You” è una cover!

Mariah Carey – “Without You” (1993)


Mariah Carey è lodata per essere una delle voci più belle del mondo (ha ben 5 ottave di estensione vocale), ma anche per essere l’autrice o co-autrice dei suoi pezzi. È anche una brava interprete e nella sua carriera ha realizzato qualche cover tra cui la romantica ballad “Without You” che la portò al successo e fece conoscere al mondo la sua voce, in realtà pubblicata per la prima volta nel 1970 dalla casa discografica Apple Records dei Beatles.

Gli autori di questa super hit sono i Badfinger, uno sfortunato gruppo inglese degli anni Sessanta che ebbe l’onore e il peso di essere etichettato dalla stampa dell’epoca come erede dei Beatles. Furono i primi a pubblicare per la Apple Records, nel 1968, e i Fab Four collaborarono con loro anche nella scrittura e nella produzione di alcuni loro brani.

Per la Apple Records uscirono diversi dischi dei Badfinger tra cui “No Dice” (1970) con la ballad “Whithout You”, brano raggiunse il successo dopo e non tramite la loro registrazione. La storia dei Badfinger è una triste pagina della musica: il gruppo fu rovinato da manager disonesti e corrotti, contratti capestri e problemi finanziari che portarono al suicidio i due principali frontman e compositori del gruppo, Pete Ham e Tom Evans, rispettivamente nel 1975 e nel 1983.

Badfinger – “Without You” (1970)


La storia di “Whitout You” ha la sua svolta quando, forse ad una festa, la ascoltò per caso Harry Nilsson, un musicista e cantautore americano che durante la sua carriera compose con e per John Lennon e Ringo Starr. Si intrecciano ancora i Beatles nella storia di questa canzone che Nilsson quando la ascoltò per la prima volta pensò fosse proprio del quartetto di Liverpool. Conoscendo la storia dei Badfinger, non ci era andato molto lontano. Harry Nilsson la registrò e la pubblicò nel suo album “Nilsson Schmilsson” del 1971.

Harry Nilsson – “Without You” (1971)


La versione di Nilsson ebbe molto successo anche a livello internazionale ed è la canzone con cui è maggiormente ricordato, insieme a “Everybody’s talking” (1969) anche questa in realtà una cover dell’originale scritto da Fred Niel nel 1968. La conoscete sicuramente, cliccate qui.

Prima e dopo la ripresa di Mariah Carey del 1993 sono stati molti gli artisti che hanno realizzato la loro versione di “Without You”, anche in Italia dove sulla scia del successo di Nilsson è diventata “Per chi” interpretata da Johnny Dorelli già nel 1972 e dai Gens sempre nel 1972.

Johnny Dorelli – “Per chi” (1972) / in questo video insieme a Mina


Gens – “Per chi” (1972)
disCover

La Torn che Imbruglia

Se avete più di 30 anni avviso che questo post potrebbe urtare la vostra sensibilità.
Continuate a vostro rischio e pericolo!

O almeno quando l’ho scoperto a me è successo, è crollato un mito. Più che un mito, è andata in frantumi l’immagine che avevo nella memoria di una cantante e di una canzone che ho ascoltato milioni di volte, che è stata la colonna sonora dell’inverno 1997/1998. Perché Natalie Imbruglia è “Torn”, “Torn” è Natalie Imbruglia e non so come dirvelo, ma lo avrete già capito: è una cover.

Non è nemmeno la prima cover esistente di questa canzone, ma è di certo l’unica versione ad aver ottenuto un così grande successo internazionale. È stato il singolo di punta di “Left of the Middle” (1997) l’album di debutto di Natalie Imbruglia che ha lanciato la carriera di questa artista in precedenza attrice di soap-opera australiane. “Torn” della Imbruglia arrivò in vetta alle classifiche di tutto il mondo e ancora oggi a più di 20 anni di distanza è una delle hit più rappresentative della sua breve carriera di cantante (poi ha pubblicato altri 4 album, ma senza raggiungere grandi riscontri).

Natalie Imbruglia – “Torn” (1997)


Gran parte del successo, oltre all’orecchiabilità della canzone e all’ottima produzione, si deve anche all’originale videoclip diretto nel 1997 dalla regista Alison Maclean. In una sorta di metateatro (teatro nel teatro) la bellezza impattante della Imbruglia e i suoi grandi occhi dall’espressione smarrita in primo piano sono il centro di tutto il videoclip, lasciando sullo sfondo un set cinematografico che racconta se stesso. Truccatori che entrano nell’inquadratura, tecnici che spostano le scenografie, finti ciak sbagliati: tutto a simulare prove di una tormentata storia d’amore tra lei e l’attore co-protagonista Jeremy Sheffield.

Così è nata una stella, anzi, una meteora. “Torn” è Natalie Imbruglia, nulla potrà mai toglierci questo ricordo, anche se il brano in realtà fu scritto dai californiani Scott Cutler (chitarra) e Anne Preven (voce) nel 1993 per la loro band, gli Ednaswap. Iniziarono a suonarla nei loro concerti senza registrarla su disco e fu subito notata dalla cantante Pop danese Lis Sørensen. La Sørensen tradusse il testo e pubblicò il pezzo nel 1993 come singolo dal titolo “Brændt” (scottato/bruciato) che risulta essere contemporaneamente la prima cover e la prima pubblicazione ufficiale di questa canzone.

Lis Sørensen – “Brændt” (1993)


Gli Ednaswap pubblicarono successivamente la loro versione (il vero originale) nel loro album di debutto dal titolo “Ednaswap” nel 1995.  Il disco non ebbe un’ampia distribuzione e fu l’unico del gruppo pubblicato dalla EastWest Records, qualcosa deve essere andato storto negli accordi tanto che gli Ednaswap sciolsero il contratto e firmarono con la Island Records. Il quintetto di Los Angeles pubblicò altri due album che non incontrarono comunque il favore del pubblico e si sciolse nel 1999. Eppure sono la band – sconosciuta – che ha composto uno dei più grandi successi Pop degli anni ’90! Meglio far attenzione a quello che si sogna: la cantate e autrice Anne Preven scelse di chiamare il suo gruppo “Ednaswap” dopo aver sognato di essere in una band con quel nome che, durante un concerto, fece fiasco.

Ednaswap – “Torn” (1995)
musica

La nascita del repertorio: dalle orchestre di musica classica alle cover band


Vi è mai capitato di sentire qualcuno dire: “Domani sera vado al concerto dei Pink Floyd” (oppure dei Queen, dei Led Zeppelin…) Quando mi succede rimango sempre un attimo perplessa: c’è la reunion e non lo so? È risorto qualcuno? Poi realizzo: la Tribute Band! D’altronde perché scandalizzarsi? Anche le orchestre di musica Classica alla fine non sono altro che delle patinatissime cover band… o no?

Riassumendo l’annosa diatriba “musica originale vs cover band” si arriva ad un paradosso del genere. Ormai le cover/tribute band che omaggiano i grandi della musica Pop e Rock sono sempre di più, anzi quasi la totalità dei gruppi che si esibiscono nei piccoli locali e club; ultimamente anche nei grandi teatri e festival, rientrando in cartellone accanto alle grandi star internazionali.


Quando è cominciato tutto? Nel corso della storia della Musica non è sempre esistito il concetto di “repertorio”, ovvero i grandi capolavori e musicisti immortali da conoscere, studiare e trasmettere a tutte le successive generazioni. La nostra posizione di ascoltatori oggi è molto diversa rispetto a quella di chi è vissuto secoli fa. Può sembrare strano, ma in passato il pubblico ascoltava i compositori della generazione presente e i musicisti studiavano al massimo quella di una o due generazioni precedenti. La musica più antica non interessava, cessava di esistere e lasciava il posto a nuove sonorità, più moderne e vicine al gusto del pubblico contemporaneo.

La dimensione di musicisti e ascoltatori – almeno per quanto riguarda la Storia della Musica occidentale – è iniziata a cambiare solo nel Settecento, con l’affermarsi del concetto di “classicità” applicato alla Musica. Si inizia a pensare che un’opera abbia un valore al di là della sua funzione contingente e che possa permanere nel tempo come capolavoro artistico. 

Anche l’affermarsi dell’editoria musicale e il diffondersi delle riduzioni per canto e pianoforte hanno in seguito contribuito ad orientare il pubblico verso una fruizione di tipo diverso, in cui il teatro era anche il luogo in cui assistere a nuove interpretazioni di opere già note. Storicamente gli studiosi hanno individuato uno dei momenti cardine di questo cambiamento nella prima esecuzione moderna della Passione Secondo Matteo di J.S. Bach, diretta da Felix Mendelssohn a Berlino nel 1829.

Dopo la sua morte (Lipsia, 1750) anche la musica di Bach era stata soppiantata dalle opere dei suoi successori, proprio per il modo che si aveva allora di concepire la musica. Suo figlio lo chiamava “vecchia parrucca” e come tutti gli preferiva autori più moderni: era già considerato sorpassato.

I circoli berlinesi in cui Mendelssohn era cresciuto hanno cominciato un inarrestabile percorso che mirava alla diffusione delle opere dei tempi passati. La Musica inizia così ad essere considerata in senso storico, con una sua evoluzione e con i suoi Maestri, così come accadeva già per le arti figurative, il teatro e la letteratura. Da fine Ottocento nei programmi di concerto, accanto alle musiche nuove, iniziano ad essere inserite anche le composizioni dei grandi del passato che nel Novecento finiranno per soppiantare quasi totalmente le opere di autori contemporanei.

Oggi il concetto di “repertorio” è fondamentale e il musicista classico che si dedica unicamente alle proprie composizioni o ad un repertorio contemporaneo è considerato uno specialista. La musica Classica contemporanea circola più in ambienti “di nicchia” che non in quelli mainstream e il repertorio che il pubblico ascolta in assoluta maggioranza e interesse è innegabilmente legato ai secoli passati.


Non sembra la descrizione di quello che sta succedendo ora? La storia è fatta di corsi e ricorsi, forse è il caso di chiederci se non siamo arrivati ad un punto di svolta così radicale anche per la musica Pop e Rock. A pensarci bene, tranne meteore passeggere create ad hoc per un pubblico di giovanissimi, da una decina di anni ad oggi sono pochi sono gli artisti ancora in auge, mentre i Big sono sempre più intramontabili (ad esempio: Achille Lauro farà veramente la carriera di Vasco, per quanto ne sentiremo parlare?). Nelle piccole realtà cittadine la situazione è ancora più lampante: i concerti di giovani musicisti che eseguono musica propria sono sempre meno, il pubblico interessato è pochissimo e sempre più “di nicchia”. Mentre sono seguitissime le tribute e cover band che con i loro concerti dedicati ai “grandi classici” della musica Rock e Pop riempiono anche teatri e palazzetti.

Beatles, Queen e Pink Floyd saranno i nuovi Mozart, Bach e Beethoven?

Merito dei musicisti del passato o demerito dei musicisti del presente? Colpa del music business? Colpa della musica liquida, di Spotify e dei talent show? “It’s evoloution baby!”

disCover

E pensare che “I Will Always Love You” doveva cantarla Elvis


Il 25 novembre 1992 nei cinema americani usciva una delle love story più amate di tutti i tempi: “Guardia del corpo” (The Bodyguard) con Kevin Costner nei panni della guarda del corpo della famosa pop star e attrice di fama mondiale Whitney Houston, nel ruolo quasi di se stessa.

Film cult reso famoso anche dalla canzone “I Will Always Love You” un successo mondiale e ad oggi la colonna sonora più venduta di sempre con oltre 45 milioni di copie vendute. Solo il singolo si piazzò in vetta alle classifiche con oltre 16 milioni di copie vendute e Whitney Houston fu la prima artista donna nella storia a raggiungere questo primato. Un successo che ha trasformato “I Will Always Love You” nella sua canzone simbolo, un connubio imprescindibile tanto che è impossibile non pensare all’una senza collegarla immediatamente all’altra.

Se state leggendo questa premessa nella rubrica #DisCover sapete che c’è qualcosa che sto per dirvi: “I Will Always Love You” di Whitney Houston è una cover. Ed era anche già sta stata la colonna sonora di uno, anzi due, film di successo. La canzone originale è della regina del country Dolly Parton e l’idea di utilizzarla come colonna sonora del film è stata di Kevin Costner. Una lunga storia in cui stava per entrare anche Elvis, ma partiamo dall’inizio.

“I Will Always Love You” è stata scritta nel 1973 da Dolly Parton e non è una canzone d’amore in senso stretto. Nasce come addio al sodalizio artistico tra lei e Porter Wagoner, suo partner per 7 anni nello show televisivo “The Porter Wagoner Show”, programma che lanciò la sua carriera e la portò a diventare una delle star di maggior successo della storia della musica country.

Non una canzone d’amore, ma una dichiarazione di amicizia e di stima per un amico da cui aveva deciso di separarsi. Il giorno dopo averla scritta Dolly Parton la cantò a Porter Wagoner per informarlo così della decisione che aveva preso e per esprimergli ciò che provava: «ho scritto questa canzone per dire: “Ecco come mi sento. Ti vorrò bene per sempre, ma devo andare”». La storia racconta che Parton fosse in lacrime alla fine del pezzo e che abbia detto: è la canzone più bella che io abbia mai sentito.

Dolly Parton – “I Will Always Love You”


La dolce e malinconica ballata country “I Will Always Love You” è stata pubblicata il 4 aprile 1974 e fu un successo dell’epoca. Scelta da Martin Scorsese per il film “Alice non abita più qui” del 1974, nel 1982 fu reincisa per la colonna sonora di “Il più bel Casino del Texas” di Colin Higgins, in cui la Parton recitava insieme a Burt Reynolds.

C’è ancora un grande colpo di scena (mancato): “I Will Always Love You” stava per essere cantata anche da Elvis Presley che se n’era innamorato e aveva chiesto di poterne incidere una sua versione. Dolly Parton era interessata, ma i manager di Elvis avevano chiesto anche la cessione di parte dei diritti, sembra circa del 50%, e lei rifiutò.

Le mie canzoni erano tutto ciò che avrei lasciato alla mia famiglia. La gente diceva che ero stupida. Ho pianto tutta la notte. Avrei ucciso per sentirlo cantare la mia canzone. Ma alla fine, quando Whitney la registrò, sono stata contenta di non aver ceduto.

Dolly Parton (intervista su Mojo, 2004)

Dieci anni dopo la trasformazione: da malinconica ballata country con banjo e chitarra alla hit Pop che tutti conosciamo. Era il 1992, durante le riprese del film “Guardia del corpo”, Whitney Huston inizialmente avrebbe dovuto registrare una cover di “What Becomes of the Brokenhearted” di Jimmy Ruffin, ma quando i produttori si accorsero che era già stata usata come colonna sonora del film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” (1991) cambiarono idea. E fu proprio Kevin Costner (che era anche il co-produttore del film!) a suggerire di utilizzare “I Will Always Love You” intuendo che sarebbe stata perfetta per lei:

Ho detto: “Questa è una canzone molto importante in questo film”. Non mi importava che fosse già passata in radio. Non mi importava. Ho detto: “All’inizio la faremo anche a cappella. Ho bisogno che sia a cappella perché fa capire quanto le piaccia quel ragazzo, tanto da cantare senza musica”.

Kevin Costner
Whitney Houston – “I Will Always Love You”


Ed è proprio alla radio che Dolly Parton ascoltò per la prima volta la nuova versione della sua canzone:

Ho acceso la radio e all’improvviso ho sentito la parte a cappella. Sentivo che era qualcosa di familiare, e poi quando mi sono resa conto di quello che stavo ascoltando, quando Whitney è arrivata al ritornello… ho dovuto fermare la macchina perché mi sentii il cuore quasi balzare fuori dal mio corpo.

Ha preso quella mia semplice canzone e l’ha resa così potente, tanto che è diventata quasi la sua canzone. Alcuni artisti dicono: “Ooh, odio il modo in cui hanno rifatto la mia canzone” o “Quella versione non era ciò che avevo in mente”. Io penso sia meraviglioso che le persone possano prendere una canzone e interpretarla in molti modi diversi.

E pensare che la sceneggiatura del film fu scritta da Lawrence Kasdan nel 1975 e doveva avere come protagonisti Steve McQueen e Diana Ross, ma fu giudicato troppo controverso per l’epoca. Venne riproposto a fine anni ’70 con Ryan O’Neal al posto di McQueen, ma fu bloccato dopo la separazione tra O’Neal e Diana Ross. In totale è stato respinto 67 volte!

Non era nemmeno certo fin dall’inizio che la parte andasse a Whitney Houston che tra l’altro non è nemmeno la ragazza tra le braccia di Kevin Costner nella locandina del film, è una controfigura! Ma questa è un’altra storia…

disCover

It’s Oh So Quiet, dall’Europa del Dopoguerra all’Islanda di Björk

bjork videoclip it's oh so quiet


Eclettica, riservata, enigmatica. Vera e propria icona dell’Islanda e del mondo dell’arte, Björk è riuscita a coniugare sperimentazione musicale d’avanguardia e ricerca estetica, portandole sotto i riflettori della scena Pop internazionale. Nella sua carriera ha venduto 40 milioni di dischi, ha vinto 4 BRIT Award, 4 MTV Video Music Award, 13 nomination ai Grammy, e la Palma d’Oro come miglior attrice al Festival di Cannes del 2000 per la sua interpretazione in “Dancer in the Dark”. Björk è un’artista totale.

Per chi non è un suo fan, c’è una canzone a cui la si collega immediatamente: “It’s Oh So Quiet” il brano con cui nel 1995 raggiunse il successo mainstream. Una divertente canzone d’antico sapore swing, un’atmosfera dolce e cristallina che esplode in mille pezzi all’irrompere dell’isteria giocosa del ritornello. D’altronde, canta Björk, è tutto così sereno e tranquillo fin quando… non ci si si innamora!

Björk – “It’s Oh So Quiet”

Successo dovuto in parte anche al videoclip diretto da Spike Jonze, un piccolo capolavoro di virtuosismo visivo. Un omaggio ai musical di Broadway che vede Björk protagonista di un’ottima prova d’attrice e ballerina (c’è anche una parte in tip-tap!) nonostante il giorno delle riprese fosse influenzata e con un forte mal di gola che le permetteva solo di sussurrare in playback. Il videoclip nel 1996 ha ricevuto sei nomination agli MTV Video Music Awards, vincendo per miglior coreografia; e si è piazzato al secondo posto dei Grammy Award come Best Music Video – Short Form dietro all’inarrivabile “Scream” di Michael Jackson e sua sorella Janet.

Forse era tutto troppo mainstream per lei o, con maggior probabilità, dispiaciuta per il fatto di aver raggiunto questo grande successo proprio con un brano di cui non era autrice, arrivò quasi a rinnegarlo escludendolo dal suo “Greatest Hits” del 2002. Non l’avevo ancora detto? Sì, “It’s Oh So Quiet” è una cover!

In realtà è stato tutto un gioco. Era una canzone che Guy Sigsworth ascoltava sempre nel bus quando eravamo in tour. Da allora quasi mi pento di averla fatta, perché ho sempre voluto dare più importanza al creare nuova musica. C’è così tanta gente che continua ad incidere vecchie canzoni e nuove band che fanno vecchia musica.

Per lasciare un segno in questo mondo bisognerebbe avere il coraggio di andare avanti e inventare qualcosa di nuovo ed è ironico che proprio “It’s Oh So Quiet” sia diventata la mia canzone di maggior successo. In ogni caso la cosa migliore è stata il video

Björk

La dolce e scoppiettante melodia jazz di “It’s Oh So Quiet” in realtà risale al tempo del Dopoguerra, in Austria. È stata incisa per la prima volta nel 1948 con il titolo “Und jetzt ist es still” (ora è tutto tranquillo) dal cantante austriaco Harry “Horst” Winter ed è stata composta dall’austriaco Hans Lang con testo dell’autore tedesco Erich Meder.

Harry “Horst” Winter“Und jetzt ist es still” (1948)

Un simpatico valzer di un’epoca e di un mondo lontano che non è passato inosservato e fu ripreso poco dopo nel 1949 dall’attrice francese Ginette Garcin insieme all’Orchestra Jacques Hélian con il titolo di “Tout est tranquille”.

Ginette Garcin“Tout est tranquille” (1949)


Prima di arrivare alla cover di Björk manca ancora un importante passaggio.

Fin qui era ancora quel del simpatico valzer viennese del Dopoguerra. La svolta principale è stata data dalla versione dell’attrice e cantante americana Betty Hutton con arrangiamento del compositore e arrangiatore italiano (naturalizzato statunitense) Pete Rugolo. “It’s Oh So Quiet” (tradotta in lingua inglese da Bert Reisfeld) è stata pubblicata nel 1951 come lato B del suo singolo “Murder, He Says”.

Betty Hutton“It’s Oh So Quiet” (1951)


Quanta storia e quanta strada ci può essere dietro ad una canzone! Questo pezzo grazie a Björk è risorto a nuova vita finendo anche nei contesti più strampalati come la pubblicità della Toyota o del Kinder Colazione Più. Musica e pubblicità: un argomento interessante, di cui vi parlerò sicuramente.

https://66.media.tumblr.com/53bccd6850c11d881502052c50df9085/tumblr_ojz9wenAM91rpduwho1_400.gifv
disCover

Girls Just Want to Have Fun


Perché una canzone diventa famosa? Su questo sono stati scritti “Fiumi di parole” passando da astute operazioni di marketing fino alla teoria secondo cui moltissimi brani Pop di successo sono strutturati sugli stessi 4 accordi, come cerca di dimostrare questa divertente gag degli Axis of Awsome:

Axis of Awesome – “4 Four Chord Song”


Come succede spesso nella vita, è fondamentale essere la persona giusta al posto giusto nel momento giusto. La storia della musica è costellata di canzoni che hanno raggiunto il successo molti anni dopo la loro prima pubblicazione, ad esempio ci sono i casi in cui le cover sono diventate molto più popolari dell’originale: successi internazionali che hanno lanciato carriere o creato le famose “meteore”.

Può dipendere dalla qualità del riarrangiamento, da maggiori risorse per un lancio discografico di grande impatto, dalla bravura dell’interprete, da un momento storico più azzeccato… Nella quasi totalità dei casi però il nome dell’autore originale e dell’artista che per primo ha lanciato il pezzo viene omesso, non detto, e per logica conseguenza la paternità va a chi l’ha portata al successo. (Questo a livello di comunicazione pubblicitaria / massmediatica, ovviamente nei credits gli autori vengono correttamente riconosciuti, ma sono informazioni che nessuno legge).

A volte scoprirlo è quasi uno shock, c’è il rischio che crollino dei miti perché certi pezzi sono legati indissolubilmente ad un artista. Ad esempio, “Girls Just Want to Have Fun” è Cyndi Lauper: quando si pensa a lei si pensa immediatamente a quella canzone e viceversa. È iconica, mitica, simbolo di un’epoca, un inno del femminismo.

Eppure, non è di Cyndi Lauper e non è nemmeno stata scritta per lei. Anzi, a scriverla è stata un uomo!

Robert HazardGirls Just Want to Have Fun


“Girls Just Want to Have Fun” è stata composta e registrata per la prima volta nel 1979 dal cantautore e musicista americano Robert Hazard. La versione originale raccontava il punto di vista di un uomo che si sentiva molto fortunato nel trovare “ragazze che si vogliono solo divertire”.

Quel demo finì nelle mani della Lauper e del suo produttore, David Wolff, mentre stavano realizzando il suo album d’esordio She’s so unusual (1983). Cambiarono qualche dettaglio del testo, sufficiente a stravolgerne il significato e darne una prospettiva femminile: le ragazze non sono diverse dai ragazzi e anche a loro piace uscire, divertirsi e fare nuove esperienze. “Girls Just Want to Have Fun” divenne così un inno al divertimento e un manifesto femminista che metteva in luce la parità di diritti tra uomini e donne in una prospettiva più leggera e scanzonata.

Cyndi Lauper “Girls Just Want to Have Fun”


Pubblicata il 6 settembre 1983 come singolo di lancio dell’album, divenne subito un successo mondale e l’iconico videoclip fu trasmesso in heavy rotation da MTV. Una produzione costata relativamente poco, tra i 30.000 e i 35.000 dollari, grazie all’ingaggio gratuito di parenti e amici che si prestarono ad interpretare i vari personaggi: la mamma di Cyndi, nel ruolo di sé stessa, mentre il padre è il wrestler “Captain” Lou Albano; ci sono anche il fratello, il manager e alcune segretarie.

La trama è semplice: Cyndi in barba ai suoi genitori organizza una festa nella sua cameretta chiamando tutti i suoi amici, una folla scatenata e divertita che vuol rappresentare ogni contesto razziale e classe sociale.

Nel libro “I Want My MTV” la Lauper ha spiegato:

Volevo che “Girls Just Want to Have Fun” fosse un inno per le donne di tutto il mondo – intendo proprio tutte le donne – e un messaggio che sostiene che siamo esseri umani potenti. Volevo essere sicura che ogni donna guardando il video si sentisse rappresentata, sia che fosse magra o robusta, affascinante o meno, e di qualunque razza fosse.

Cyndi Lauper

Il video diventerà un vero e proprio cult, uno dei simboli degli anni ’80 e vincerà il premio come Best Female Video agli MTV Video Music Award del 1984. Il singolo scalerà le classifiche di tutto il mondo piazzandosi nella Top 10 di 25 paesi, raggiungendo la prima posizione in 10, mentre in America si piazzerà al secondo posto della Billboard Hot 100 per due settimane dietro a “Jump” dei Van Halen.

Un successo senza tempo che ha lanciato l’artista femminile più originale dei primi anni ’80 e che però ha congelato l’immagine della Lauper in una ragazzina bizzarra dal look eccentrico. Anche se sarà poi seguito dal secondo famosissimo singolo estratto dall’album: “Time After Time”.