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Un “amore proibito” tra Sakamoto e David Bowie

Esistono musiche senza tempo. Brani dei quali si fatica a capire l’origine: possono essere stati scritti secoli fa o nel futuro più lontano, rimanendo intatti nella loro attualità e bellezza. Melodie che poco importa se nate da Bach, Pink Floyd, Mozart o U2. Rimangono costantemente nuove, capaci di smuovere forti emozioni.

Temi come “Also spracht Zarathustra” di Richard Strauss, “La Cura” di Franco Battiato (di cui ho scritto qui) o come “Forbidden Colours” di Ryuichi Sakamoto.

Nato a Tokyo, nel 1952, Ryuichi Sakamoto coniuga alla perfezione, come ogni buon giapponese, il nobile passato del Sol Levante con il futuro più ciberneticamente tecnologico. La sua formazione ed estrazione oscilla tra il Jazz e l’elettronica; basti pensare alla sua band d’esordio, la “Yellow Magic Orchestra”, un gruppo pioniere nella sperimentazione musicale, che anticipa le sonorità quantizzate e computerizzate divenute il marchio di fabbrica degli anni ’80, i suoni a 8 bit del mondo dei videogame e incalzanti sequenze musicali saccheggiate negli anni a venire nell’universo degli anime.

Allo stesso tempo, come un giardino zen a due passi dalla megalopoli, ecco una poetica e una musicalità fortemente debitrice alla musica tradizionale giapponese con le sue delicate, trasparenti melodie e i suoi strumenti misteriosi, come il koto o lo shamisen.


Il film: Merry Christmas Mr. Lawrence

Dopo diversi lavori negli anni ‘70 con la band e ad inizio anni ‘80 anche in veste solista, ecco la svolta. Tutto grazie a un film, “Merry Christmas Mr. Lawrence” (in italiano “Furyo”, uscito nel 1983 e da Nagisa Oshima), nel quale Sakamoto ebbe doppio ruolo di compositore della colonna sonora e, inaspettatamente, attore. 

Accanto a lui nella pellicola un partner d’eccezione, uno dei grandi geni della musica rock di tutti i tempi: David Bowie. Il cantante, musicista e attore britannico è all’apice del suo genio talmente esplosivo da non limitarsi alla sola musica, ma riuscendo a passare dal Rock al cinema con disinvoltura e credibilità tra un disco e l’altro.

“Non ho mai intrapreso la carriera di attore, non è mia intenzione, ma è un dato di fatto che ho recitato in un film per la prima volta con David Bowie, che è stato fantastico. Ed è stata la mia prima musica da film. Due cose veramente nuove arrivate nello stesso momento. Ho Lavorato con David Bowie per un mese, ogni giorno, su una piccolissima isola nell’Oceano Pacifico meridionale. Per un mese!” (Ryuichi Sakamoto)

Ryuichi-Sakamoto e David-Bowie sul set del film

La storia di “Merry Christmas, Mr. Lawrence” riguarda un amore proibito, un “forbidden colour”, tra il capitano Yonoi (interpretato da Sakamoto), a capo di un campo di prigionia giapponese nel 1942, e il prigioniero neozelandese Jack Celliers (David Bowie).

Trama e musica si legano semanticamente all’espressione giapponese “kinjiki”, dove “kin” sta per “illecito” e “jiki” può significare al tempo stesso “colore” e “amore fisico”.


La colonna sonora: Forbidden Colours

Una collaborazione musicale tra i due grandi artisti sembrava dietro l’angolo, aiutata dal clima di amicizia e rispetto reciproco che si era creato nel set. Tuttavia Bowie non interverrà nella colonna sonora del film, ancora da definire durante le riprese:

“Non avevo ancora iniziato a lavorarci, ero totalmente concentrato sulla recitazione. Ho anche esitato a chiedere a David di lavorare con me sulla musica in quel momento, perché sembrava molto concentrato sulla recitazione”. (Ryuichi Sakamoto)

Sarà un amico di Sakamoto, David Sylvian, cantante britannico come Bowie, a prendere in mano le redini del brano e a trasformarlo in quello che conosciamo ora. Esponente del Glam Rock con la band Japan (ennesima coincidenza), nel 1983 Sylvian è in totale crisi creativa dopo lo scioglimento del gruppo.

Ryuichi Sakamoto & David Sylvian “Forbidden Colours”

“Non ero sicuro in quale direzione muovermi. Non ho scritto nulla per po’ di tempo ed era insolito per me. Poi Ryuichi mi ha dato “Forbidden Colors” su cui lavorare. All’improvviso il flusso di scrittura ha iniziato scorrere e nuovo materiale ha iniziato ad arrivare”. (David Sylvian)

Sylvian cominciò a lavorare al brano, a costruirci un testo enigmatico, carico dei dubbi e dei sentimenti dell’artista e, allo stesso tempo, quasi inafferrabile, come fosse anch’esso un “forbidden colour”. Definì una linea vocale sulla quale la sua voce, calda e baritonale, potesse muoversi attorno al tema portante senza involgarirlo, una melodia che sottostà alla bellezza del tema musicato da Sakamoto.

Ryuichi Sakamoto & David Sylvian

Un rispetto tipico della cultura orientale, una delicatezza artistica che valorizzerà il brano e che porterà al successo entrambi gli artisti. Sia Sylvian che Sakamoto, musicisti lontani dai meccanismi per certi versi discutibili del music business, incideranno più volte e in più versioni “Forbidden Colours”. Un brano profondo e toccante, senza tempo, affascinante e sfuggente come un colore proibito.

Ryuichi Sakamoto “Forbidden Colours” (piano solo)
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Maracaibo: la storia dell’amante di Fidel Castro

Maracaibo, mare forza nove, fuggire sì ma dove? za’ za’

Alzi la mano chi non l’ha letta canticchiandola e ripensando ai trenini alle feste, il capodanno o un party in spiaggia. “Maracaibo” è un evergreen, un riempipista, una di quelle canzoni che fa subito festa ed è impossibile non ballare. Un classico degli anni ’80 (compie quarant’anni nel 2021) che ci ricorda l’Italia dei film di Vanzina e quel mitico “Vacanze di Natale” del 1983 con Jerry Calà che la suona al piano bar e Christian De Sica che tiene il tempo con le maracas.

“Maracaibo” nell’immaginario collettivo è cristallizzata in quell’atmosfera nostalgica e spensierata che l’ha resa un’icona: un ritmo trascinante e un testo un po’ strano che cantiamo forse senza pensarci troppo. Anche se “Maracaibo” in realtà così spensierata non è: racconta l’amore drammatico e avventuroso tra una trafficante d’armi e Fidel Castro, una storia piena di eccessi e traversie con tanto di una rocambolesca fuga in mare.

VACANZE DI NATALE (1983) -Maracaibo🎤🎹🎼🎄❤️ – Jerry Calà & Christian De Sica

Maracaibo🎤🎹🎼🎄❤️ – Jerry Calà & Christian De Sica in VACANZE DI NATALE (1983)😎☃️❄️#jerrycalà #vacanzedinatale #christiandesica #maracaibo #anni80 #pianobar #vipclub #cortina

Pubblicato da I film con Jerry Calà su Domenica 24 dicembre 2017
dal film “Vacanze di Natale” 1983


“Maracaibo” non è una canzone di Jerry Calà, anche se l’ha resa un suo cavallo di battaglia nelle feste alla Capannina di Forte dei Marmi; neanche di Raffella Carrà che, dopo aver inscenato un balletto sulle note del pezzo durante una trasmissione televisiva, è stata ritenuta per diverso tempo dal pubblico l’autrice del brano. “Maracaibo” è un successo di Luisa (Lu) Colombo, scritto insieme a Davide Riondino con ospiti di eccezione: la registrazione fu curata dal fonico di Spielberg (quello degli effetti speciali di “E.T.”) e la chitarra è suonata da Steve Hopkins, il produttore dei Bee Gees.

Vivevo in un contesto creativo, in quel periodo, contornata da un gruppo di amici – musicisti, intellettuali, scrittori, pubblicitari – da cui uscivano idee interessanti, e a getto continuo, utili anche, alcune, per questo pezzo (…) Deve esserci stata una congiuntura astrale, quel giorno, un magma di stelle che per caso s’incrociavano: c’è qualcosa di magico, l’ho sempre creduto, in quella canzone.

Lu Colombo, intervista per Vanity Fair

Lu Colombo racconta che musica e parole sono state create insieme, ispirate da una storia sulla burrascosa vita di un’amante, vera o presunta, di Fidel Castro. La scelta di Maracaibo, città del Venezuela (che si pronuncia correttamente con l’accento sulla “à” nel dittongo) è casuale: un nome esotico, evocativo, di evasione. La melodia latina è venuta da sé, dalla passione di Lu Colombo per le sonorità cubane e brasiliane dal ritmo ballabile, una Dance Latina che spopolava in quegli anni.


La storia che racconta è un’avventura da film.

La protagonista è Zazà (sì, il “za za” del testo non è un’onomatopea che sottolinea il ritmo e il momento in cui scuotere il bacino!) una spogliarellista cubana che si esibisce in un locale, chiamato Barracuda. Questo lavoro in realtà è una copertura: Zazà è una trafficante d’armi e amante di Fidel Castro, che nel testo è diventato Miguel su richiesta dei discografici per non incappare nella censura.

Miguel è spesso lontano, “era in Cordigliera da mattina a sera” e Zazà si consola tra le braccia di Pedro, ma vengono scoperti da Miguel che accecato dalla gelosia “quattro colpi di pistola le sparò”. A Zazà non resta che fuggire, scappa per mare ma viene travolta da una tempesta (“mare forza nove”) che distrugge la nave (“l’albero spezzato”) e come se non bastasse viene morsa da un pescecane (“una pinna nera, nella notte scura (…) una zanna bianca come la luna”). Ma Zazà è una donna intraprendente, disposta a tutto per ottenere quello che vuole e si salverà. La ritroviamo maitresse di una “casa di piacere per stranieri”, dedita agli eccessi con alcolici e stupefacenti (“rum e cocaina”), ingrassata fino a 130 chili. Una “splendida regina” che porta sulla pelle il segno del morso del pescecane, simbolo della sua vita avventurosa.

Lu Colombo – “Maracaibo” (1981)


“Maracaibo” fu un clamoroso successo che però ha fatto a pezzi Lu Colombo che viene ricordata solamente per questa canzone, anche se negli anni ha scritto molta altra musica. Un successo di cui non ha raccolto i frutti:

Sentivo “Maracaibo” dappertutto, ma non mi arrivava una lira.

Un articolo del Corriere della Sera racconta che i diritti del brano erano rimasti alla casa discografica, tanto che Lu Colombo per qualche tempo lasciò la musica per fare la restauratrice. Essere associata solo a quel brano ancora oggi non è facile per lei: «Tutti mi chiedono di “Maracaibo”, ma per me non è una storia felice. Io ero una ragazza tormentata, la canzone ha rappresentato più seccature che soddisfazioni» .

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Unchained Melody: dalla prigione al successo del film “Ghost”

“Ghost” compie oggi 30 anni. Un film cult uscito nelle sale statunitensi il 13 luglio 1990, diventato subito un successo planetario con un incasso superiore a 500 milioni di dollari. “Ghost” (regia di Jerry Zucker) ha reso Demi Moore una star, ha consolidato Patrik Swayze (reduce da “Dirty Dancing”) nel ruolo di sex symbol e tra gli attori più amati degli anni ’90 e Whoopie Goldberg si è aggiudicata l’Oscar per miglior attrice non protagonista. Il film ne ha vinto anche un secondo per la miglior sceneggiatura originale.

Una delle pellicole più iconiche di sempre, una storia d’amore al di là della morte e del tempo capace di far sognare e commuovere anche i cuori più cinici. Modellare vasi di argilla non è mai stato così romantico come nella famosissima e indimenticabile scena, diventata oggi un must e parodiata centinaia di volte. Ad accompagnala c’era una canzone altrettanto indimenticabile: “Oh, my love, my darling / I’ve hungered for your touch / A long, lonely time…” la famosissima “Unchained Melody” dei Righteous Brothers, un brano dalla lunga storia.

“Unchained Melody” ha fatto da sfondo romantiche storie d’amore e matrimoni, anche se in realtà è nata nel 1955 come colonna sonora di un altro film. Si intitola così (“unchained” si può tradurre come “libero, senza catene”) non per raccontare un amore libero, ma perché in origine è stata scritta per un film che raccontava la triste vita nelle prigioni americane. La pellicola si intitolava “Unchained” (regia di Hall Bartlett) e la canzone scritta da Alex North su musica di Hy Zaret era la parte nodale del film. A cantarla fu il baritono Todd Duncan.

Todd Duncan – “Unchained Melody” (dal film “Unchained, 1955)


Non era una canzone d’amore, ma di disperazione. Solo, in prigione, accusato ingiustamente, il protagonista del film si chiedeva se la sua amata lo pensasse ancora, se lo amasse ancora: “Time goes by so slowly / And time can do so much / Are you still mine?” (il tempo passa così lentamente e il tempo può fare così tanto, sei ancora mia?)

“Unchained Melody” non passò inosservata: si aggiudicò una nomination agli Oscar di quell’anno come miglior colonna sonora ed entrò in classifica. Saranno subito in molti a cantarla e farne una loro versione come Harry Belafonte, Perry Como, Cliff Townshend (padre del chitarrista degli Who, Pete Townshend) e diventerà una delle canzoni più “coverizzate” di sempre, oggi si contano oltre 500 versioni. Da U2, Platters, Neil Diamonds, Frank Sinatra, Mina, alle versioni italiane di Nilla Pizzi (già nel 1956) e Iva Zanicchi (1968) fino ad arrivare al Re del rock’n’roll, Elvis Presley che la cantò in uno dei suoi ultimi live nel 1977, l’ultima apparizione televisiva sei settimane prima della sua morte.  

Elvis Presley – “Unchained Melody” (ultima apparizione in tv, live 1977)


La cover più famosa è senza dubbio quella incisa nel luglio del 1965 dal duo statunitense The Righteous Brothers e pubblicata come B-side del singolo “Hung on You”.

“Unchained Melody” non è mai stata pensata per essere un singolo. È stata inserita sul lato B del singolo “Hung On You” da Phip Spector [il produttore] e nel momento in cui è stato pubblicato “Unchained Melody” è salita alle stelle.

Bill Medley, The Righteous Brothers
The Righteous Brothers – “Unchained Melody” (live 1965)


“Unchained Melody” dei Righteous Brothers entrò nella Billboard Hot 100 nel 1965 alla posizione numero 5 e ci tornò 25 anni dopo nel 1990 grazie al film “Ghost”. Un nuovo successo che l’ha resa un evergreen immortale abbandonando definitivamente la sua originale associazione con le frustrazioni romantiche della vita di un carcerato e rimanendo indissolubilmente incastonata in una delle scene più romantiche del cinema.

“Unchained Melody” (dal film “Ghost” 1990)
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“Don’t Let Me Be Misunderstood”: da Nina Simone a Tarantino

Era l’estate nel 1977 e nelle discoteche impazzava un tormentone dal ritmo spagnoleggiante, un flamenco in versione disco music che ha fatto ballare tutti. Era la famosissima “Don’t Let Me Be Misunderstood” del gruppo franco-americano degli Santa Esmeralda. Una canzone famosa ancora oggi, un riempi-pista mai passato di moda che nasconde una lunga storia.

La storia di “Don’t Let Me Be Misunderstood” inizia dieci anni prima: la melodia principale e il ritornello di sono opera del compositore ed arrangiatore Horace Ott a cui è venuta l’ispirazione dopo una lite con la sua fidanzata. Ott poi portò il materiale alla coppia di compositori Bennie Benjamin e Sol Marcus che completarono il brano, ma al momento di riconoscerne i diritti le leggi dell’epoca impedirono al compositore della BMI di collaborare ufficialmente con i due della ASCAP, così Ott non comparve.

La prima versione del brano venne incisa da Nina Simone ed uscì nel nell’album del 1964 Broadway Blues Ballads” e fu chiesto a Horace Ott di dirigerne l’orchestra e di curare anche gli arrangiamenti dell’intero album. Questa prima versione di “Don’t Let Me Be Misunderstood” era una lenta ballata con arrangiamenti d’arpa ed orchestra supportati in più punti da un coro, con la voce di Nina Simone capace di spaziare dal Jazz, al bìBlues, al Soul, al Folk e all’R&B a darne il tocco distintivo.

Nina Simone – “Don’t Let Me Be Misunderstood” (1964)


La versione di Nina Simone non ebbe successo. I primi ad intuirne il potenziare e a realizzare la prima cover fu la rock band britannica degli Animals che la pubblicarono l’anno successo, nel 1965, in una versione completamente diversa. Gli Animals cambiarono lo stile e diedero al brano un’impronta Rock.

Il ritmo fu accelerato e idearono il famoso riff di chitarra elettrica ed organo ampliando un breve motivo che i cordofoni eseguivano in coda al brano originario. Il pezzo scalò subito le classifiche arrivando terzo nella UK Single Chart, quindicesimo nella statunitense Billboard Hot 100 e quarto in Canada; inoltre è stato inserito alla posizione 315 nella lista delle cinquecento migliori canzoni secondo la rivista Rolling Stones.

The Animals – “Don’t Let Me Be Misunderstood” (1965)


La versione più famosa arrivò nel 1977 con i Santa Esmeralda che arricchirono il pezzo con sonorità latine e lo consacrarono come uno dei brani più riconoscibili dell’universo della disco music. Brano di punta del loro album d’esordio, questa versione di “Don’t Let Me Be Misunderstood” durava ben 16 minuti. Pur mantenendo gli arrangiamenti rock degli Animals, i Santa Esmeralda diedero al brano uno stile Disco aggiungendo i ritmi latini del flamenco con chitarre classiche, fiati, percussioni ed altri elementi caratteristici come il battito di mani e il rumore creato dai ballerini con il tacco delle scarpe.

Una versione completamente diversa dall’originale di Nina Simone, un ritmo irresistibile che trasformò “Don’t Let Me Be Misunderstood” in un classico e intramontabile riempi-pista.

Santa Esmeralda – “Don’t Let Me Be Misunderstood” (1977) – video ufficiale
(per la versione integrale da 16 minuti clicca qui)


Il pezzo dei Santa Esmeralda tornò alla ribalda e raggiunse una nuova generazione di ascoltatori nel 2003 quando fu scelto dal regista Quentin Tarantino nella colonna sonora del suo famosissimo film “Kill Bill, vol. I”. La parte centrale strumentale di questo strano flamenco versione disco-dance accompagna una delle sequenze più epiche del film: il duello tra La Sposa e O-Ren Ishii.

Ritmi latini, flamenco, trombe e chitarre ad accompagnare la prima parte di un duello dove due affilate katane si scontrano mentre la neve cade leggera in un giardino giapponese. Sullo schermo tutto funziona ed è reso credibile grazie ad un perfetto sincronismo tra immagini e musica che rendono il duello una sorta di balletto dove ogni mossa rientra in una coreografia ben studiata. Un momento magico, epico, un notturno quasi fuori dal tempo.

il duello tra La Sposa e O-Ren Ishii (integrale)
dal film “Kill Bill. Vol.I” – regia di Quentin Tarantino
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“Over the Rainbow” da Oz a Iz

Pochi giorni fa ricorreva il compleanno di Israel Kamakawiwo’ole, cantante e musicista nativo hawaiano, che nacque proprio il 20 maggio di 61 anni fa. Grazie anche ad un bellissimo “doodle” che campeggiava nella home page del motore di ricerca Google, in suo onore e ricordo sono stati scritti molti articoli e credo sia stata per molti l’occasione per riascoltare il suo più grande successo: “Over the Rainbow”.

Israel Kamakawiwo’ole, conosciuto anche con il soprannome “Iz”, è l’artista hawaiano più famoso della storia. Iniziò a suonare con il fratello maggiore Skippy all’età di undici anni e raggiunse la popolarità negli anni ’70: andò in tour negli Stati Uniti e pubblicò dieci album di successo. Iz era un mago dell’ukulele, strumento oggi tornato di moda: si tratta di una piccola chitarra a quattro corde, adattamento hawaiano di un altro strumento di origine portoghese.

Iz grazie al suo successo riuscì a far conoscere il suono dell’ukulele al mondo, ma soprattutto divenne il simbolo di un popolo che in lotta per i diritti e l’indipendenza culturale dalla potenza americana. Era l’idolo di una popolazione che cercava di affrancarsi dall’immagine turistica, patinata e plastificata che hanno sempre avuto le Hawaii nell’immaginario collettivo, temi che spesso sono presenti nelle sue canzoni.


Da sempre in lotta con la propria obesità, Iz morì giovane all’età di 38 anni, proprio per complicazioni cardiache e respiratorie dovute alla sua condizione, ma lasciò in eredità al mondo il suo più grande successo: “Over the Rainbow”. Registrata alle tre di notte e poi pubblicata nel 1993 nell’album “Facing Future” è una dolcissima canzone in cui la sua voce e il suo ukulele creano una fusione di due altre successi: “Somewhere Over The Rainbow” da Judy Garland per il film “Il mago di Oz” e “What a Wonderful World” scritta da Bob Thiele e George David Weiss e interpretata per la prima volta da Louis Armstrong nel 1967.

Principalmente si può dire che “Over the Rainbow” in realtà sia una cover della celebre canzone composta per la colonna sonora del film di culto “Il Mago di Oz” del 1939. Un brano che dopo più di 80 anni ha ancora la capacità di incantare. Vinse l’Oscar per la migliore canzone e nel 2001 è stata eletta la “canzone del secolo” dalla Recording Industry Association of America e dalla National Endowment for the Arts ( seguita da “White christmas” di Irving Berlin, ma resa celebre da Bing Crosby).

“Over the Rainbow” (il titolo originale era “Over the Rainbow is where I want to be” ma fu ben presto accorciato) è stata composta come quasi tutte le canzoni del film “Il Mago di Oz” da Harold Arlen e Yip Harburg. Un successo che stava per essere scartato: dopo un’anteprima l’amministratore delegato della MGM e il produttore proposero di toglierla dal film perché secondo loro ne rallentava il ritmo. Per fortuna intervennero il produttore associato Arthur Freed e Roger Edens, vocal coach e mentore di Judy Garland, a salvare la situazione.


Nel film la protagonista Dorothy (Judy Garland) dopo un rimprovero della zia che le dice di viaggiare meno con la fantasia, canta questa canzone in cui sogna di trovarsi in un mondo “al di là dell’arcobaleno” dove i problemi si sciolgono come gocce di limone e i sogni diventano realtà.
Il testo nasconde un riferimento politico: Harburg raccontava la speranza americana per il programma “New Deal” pensato dall’allora presidente Franklin Roosevelt per far uscire gli Stati Uniti dalla Grande Depressione dei primi anni ’30.

Over the Rainbow” è diventata parte della mia vita. È il simbolo dei sogni e dei desideri di tutti, sono sicura che è per questo che alcune persone hanno le lacrime agli occhi quando la ascoltano. L’ho cantata migliaia di volte ed è ancora la canzone che ho nel cuore.

Judy Garland

C’è anche chi ha trovato in “Over the Rainbow” una somiglianza sia armonica che melodica con un tema presente nell’intermezzo (noto come “Sogno di Ratcliff”) dell’opera “Guglielmo Ratcliff” composta da Pietro Mascagni nel 1985. Plagio, ispirazione, coincidenze?

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La musica nel cinema, molto più di un sottofondo

La musica è un potente mezzo di comunicazione e, forse, la più potente forma di espressione capace di superare la parola. Di questo ho parlato in precedenti articoli (come Musica, comunicazione e lingugaggio e La musica non è un linguaggio universale), ma cosa succede se questo speciale “potere” della musica viene fuso con un’altra arte come, ad esempio, quella cinematografica? Si può creare un’esplosione di emozioni che hanno una grandissima capacità di imprimersi nella memoria.

La musica nel cinema ha sempre svolto un ruolo fondamentale affiancando le immagini: non è quasi mai solo un commento musicale, ma è un vero e proprio valore aggiunto alla scena. L’uso di una particolare musica abbinata ad un’immagine racconta più di quello che l’occhio ci suggerisce. Può essere di rinforzo alle emozioni, di contrasto a ciò che accade sullo schermo o presagio di ciò che sta per avvenire, con un sorprendente effetto di potenziamento delle suggestioni trasmesse dalla pellicola.

I film, la televisione e i media audiovisivi in generale non si rivolgono solo all’occhio, ma suscitano nello spettatore una specifica disposizione percettiva che si chiama audiovisione.
Una combinazione che si influenza l’una con l’altra:
non si “vede” la stessa cosa quando si sente
non si “sente” la stessa cosa quando si vede

La storia della musica da film è parallela a quella del cinema, si è sviluppata ed evoluta seguendo le tendenze culturali e musicali ed ancora oggi continua ad essere parte integrante e fondamentale della produzione cinematografica. A partire dalle sue origini, dall’epoca del cinema “muto” che iniziò il 6 gennaio 1896 con la celebre proiezione del cortometraggio “L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat” dei fratelli Lumière:

Auguste e Louis Lumière “L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat” – 6 gennaio 1896
(45 secondi di silenzio assordante)


La musica interviene sul visivo rafforzandolo, accompagnandolo, commentandolo e a volte contraddicendolo e svelandone così degli aspetti più profondi. A questo riguardo molto ne ha scritto Michel Chion, il teorico che più di ogni altro ha studiato le funzioni del suono nel cinema, ed è proprio lui a parlare di “valore aggiunto”: “Valore espressivo ed informativo di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere, nell’impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che si conserva, che questa informazione o espressione, si liberi naturalmente da ciò che si vede e sia già contenuta nella sola immagine“.

La musica ha il ruolo importante e fondamentale di poter dire quello che la parola o l’immagine non dicono. Svelare dei movimenti psicologici, affettivi che non possono essere detti in nessun altro modo.

Su queste tematiche ho strutturato un corso in 4 video-lezioni che offrirà una panoramica sull’importanza della musica in cinematografia e l’uso sapiente che alcuni registi ne hanno saputo fare. Se volete saperne di più cliccate qui.


Per un approfondimento:
Michel Chion “L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema”, Torino, Lindau, 1997.
Roberto Calabretto “Lo schermo sonoro. La musica per film”, Venezia, Marsilio, 2010.

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Un computer, un sogno e la musica di Giorgio Moroder

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Che cos’è la Musica? Tra le mille risposte possibili, la Musica è anche un mezzo di comunicazione. È un linguaggio. Utilizza un sistema simbolico, un insieme di codici, regole, convenzioni, funzioni sociali che variano e si evolvono a seconda dell’epoca e del luogo in cui viene prodotta.

Come ogni linguaggio non è “universale”, ma bisogna conoscere la sua grammatica per poterlo comprendere. Certo è che la musica non si esprime a parole (se escludiamo i testi e consideriamo la parte puramente strumentale), ma con suoni, tante piccole note che compongono accordi e melodie… Potremmo quasi fantasticare di un mondo in cui sia la musica l’unico mezzo di comunicazione, d’altronde hanno già scritto di un mondo fatto solo di geometria!

Mi è tornato alla mente un vecchio film “Electric Dreams” (1984) di Steve Barron (regista di videoclip di culto come “Take on me” degli A-Ah, “Billie Jean” di Micheal Jackson, “Rough Boy” degli ZZ Top), con sceneggiatura di Rusty Lemorande e musiche di Giorgio Moroder. Una commedia fantascientifica che vede il primo “triangolo amoroso” tra un ragazzo, una ragazza e un computer. Un Cyrano de Bergerac dei nostri giorni dove protagonista è la musica!

Ho sempre amato la musica e il suo rapporto con l’uomo, non soltanto come divertimento, ma anche come mezzo di comunicazione.

Rusty Lemorande

“Ero sulla metropolitana di Chicago quando vidi un bambino che giocava con un piccolo computer parlante invece che parlare con sua madre” ricorda Lemorande. “Sono sempre stato affascinato dalla tecnologia in generale e volevo scrivere una sceneggiatura nell’era dei computer (un’era in rapido sviluppo), inserendo l’elettronica e la tecnologia del computer, esaminando in che modo l’uomo ha creato strumenti in grado di liberarlo per consentirgli una migliore comunicazione con i propri simili, e in che modo poi ha permesso che questi strumenti sortissero l’effetto opposto. Quel bambino in metropolitana mi restò impresso”.

La colonna sonora del film ha pezzi come “Karma Chameleon” e “Do You Really Want to Hurt Me” dei Culture Club, “You Can’t Hurry Love” di Phil Collins, ma soprattutto ha avuto la fortuna di avere delle musiche composte appositamente dal genio di Giorgio Moroder.

Una tra tutte è “The Duel” ed è la protagonista di una delle scene più romantiche del film. Un duetto tra la protagonista, violoncellista, mentre si sta esercitando su un brano di musica classica e il “vicino di casa”, un computer che inizia ad interagire con lei e se ne innamorerà. Ad unire questi due mondi è la musica.

Prima di lasciarvi alla visione di questa scena del film, una curiosità: la melodia portante del brano di Moroder è famosissima, l’avrete sicuramente sentita molte volte. Si tratta del Minuetto in Sol maggiore (BWV 114) erroneamente attributo da sempre a Johann Sebastian Bach, mentre recenti studi hanno confermato che la paternità va al compositore e organista tedesco Christian Petzold (1677 – 1733).

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Due grandi classici della Disco Music, due cover cantate da Gloria Gaynor

Tra pochi giorni sarà l’ultimo dell’anno e se sarete alla festa giusta la Disco Music di certo non mancherà. E allora ci sarà una canzone che ballerete di sicuro, ma secondo me è molto probabile che la balliate in ogni caso. Facciamo una scommessa: fate partire il video e quando arriverà il ritornello starete già cantando. Pronti?

Gloria Gaynor – “Can’t take my eyes out of you” (1990)


“I looove you baaaby” …ho indovinato? Questo è davvero uno dei più grandi classici riempi-pista di sempre e lei è Gloria Gaynor, icona della Disco Music insieme a Donna Summer. La Gaynor ha pubblicato “Can’t take my eyes off you” nel 1990 e ormai siamo abituati a sentirla in questa sua famosissima versione, anche se in realtà l’originale risale al 1967 e quella della Gaynor è solo una cover. “Can’t take my eyes off you” è stata scritta da Bob Crewe e Bob Gaudio, portata al successo dal cantante statunitense Frankie Valli famoso per essere stato il frontman dei The Four Seasons.

Frankie Valli – “Can’t take my eyes out of you” (1967)


Francesco Stephen Castelluccio, in arte Frankie Valli, nato in America da genitori italiani; queste informazioni non vi diranno nulla, anche se in realtà non vi è per niente sconosciuto. La sua voce l’abbiamo sentita moltissime volte: è sua l’interpretazione del brano “Grease, la colonna sonora dell’omonimo film e musical, canzone scritta da Barry Gibb dei Bee Gees nel 1978.

Anche l’autore di “Can’t take my eyes off you”, Bob Crewe, è un nome importante: ha firmato alcune delle canzoni più note degli anni Cinquanta e Sessanta fra cui “Big Girls Don’t Cry”, “Rag Doll” e “Lady Marmalade”.

Gloria Gaynor – “Never Can Say Goodbye” (1974)


Gloria Gaynor invece non ha bisogno di tante presentazioni, una potenza e un timbro di voce unici con cui si distinse fin da subito dalle altre dive della discoteca. Il suo primo grande successo fu “Never Can Say Goodbye” (1974) singolo che diede il titolo al suo primo album pubblicato nel 1975 dalla MGM Records. Fu anche il primo brano a conquistare la posizione n. 1 nella classifica Disco di Billboard, nata proprio in quel periodo.

“Never Can Say Goodbye” fu tra le prime a dare il via al fenomeno della Disco Music che esplose poi in tutto il mondo a partire dal 1977. Ma anche questa canzone è una cover e la versione originale è stata scritta tre anni prima da Clifton Davis per i Jackson 5 e a cantarla era proprio lui, un giovanissimo Michael Jackson!

Pubblicata come singolo nel 1971 fu uno dei maggiori successi dei Jackson 5. In seguito sono state realizzate molte cover, e la più celebre rimane quella della Gaynor, ma alla voce della sua versione originale c’era un dodicenne Michael Jackson accompagnato dai suoi fratelli.

Jackson 5 – Never Can Say Goodbye (1971)
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Quando la musica si tinge d’orrore

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Siamo nella settimana di Halloween e anche Musicologica si tinge di orrorifiche sonorità. La Musica può far paura? Sì, lo sappiamo, sicuramente ci è successo. La Musica è una delle arti che più ha la capacità di provocare emozioni: dalla gioia alla malinconia, dalla commozione alla tristezza. Come ci riesce?

La risposta più semplice è perché associamo alcune musiche a momenti per noi significativi e riascoltarle rievoca in noi quei ricordi e quelle emozioni. Ci sono però casi in cui una melodia provoca istantaneamente delle emozioni già dal primo ascolto, la stessa emozione in persone diverse con background diversi.

Ad esempio, è quello che succede per le musiche dei film horror: melodie che abbinate alle immagini, ma anche solo ascoltate, suggeriscono all’istante in tutti noi qualcosa di “strano”, pauroso. Qui entrano in campo due grandi (enormi) temi: la Musica per Film e la Psicologia delle emozioni.

Della Musica per Film sicuramente vi parlerò ancora e in modo più approfondito, per ora mi limito alla considerazione per cui la funzione principale della musica che accompagna il film è quella di riflettere nella mente dell’ascoltatore il clima della scena e suscitare più rapidamente e intensamente nello spettatore il susseguirsi delle emozioni della storia narrata nel film.

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La storia della Musica per Film è costellata di colonne sonore che hanno contribuito a rendere ancora più agghiaccianti gli horror: dal brano “Tubular Bells” di Mike Oldfield, tema principale della colonna sonora de “L’Esorcista”, a “The Shining” per l’omonimo film di Kubrick o la musica che precedeva e accompagnava l’attacco marino de “Lo squalo”. Musiche cupissime, inquietanti, che solo a risentirle fanno venire in mente attimi da brivido.

Come si suscitano le emozioni? Studi di Psicologia hanno raccolto dati e formulato teorie individuando le emozioni come esperienze complesse, causate da eventi scatenanti che comportano delle modificazioni fisiologiche; comportamenti espressivi sia involontari che intenzionali, comuni a tutti gli uomini.

La paura, ad esempio, è l’emozione che si prova come reazione al pericolo, che sia fisico o immaginato. Ci si sono anche paure innate dovute a stimoli fisici intensi (dolore o rumore); oggetti, persone nuove o eventi inaspettati; situazioni di pericolo (precipizio, buio, solitudine); altri esseri animati che si dimostrano aggressivi. Quando proviamo paura ci sentiamo allarmati, il nostro corpo si tende, il viso impallidisce, gli occhi si dilatano.

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L’autore della colonna sonora del film “Psycho” (quel famosissimo “zin zin zin” che viene subito alla mente) è Bernard Herrmann. Curiosità: sempre sua è la musica che fischietta l’infermiera nella celebre scena di “Kill Bill vol. 1”. Una citazione di Tarantino alla colonna sonora del thriller psicologico “Twisted Nerve” (Nervi a pezzi) del 1968.


Come riesce una musica a far suscitare la paura? Potrà risultare difficile o quantomeno strano a chi non è musicista, ma l’effetto empatico tipico della musica horror è determinato da una serie di tecniche di composizione come particolari successioni armoniche e melodiche, strutturali e ritmiche. Dei modelli consolidati che riescono a suscitare disagio e tensione, ancor più amplificate se abbinate a particolari immagini.

Una di queste “tecniche” e punto di partenza per la composizione di un brano è la scelta della tonalità e di norma la musica horror è strutturata su tonalità minori. Nella grammatica musicale la tonalità è un sistema di principi armonici e melodici che ordinano le note e gli accordi (più note suonate insieme) in una gerarchia di tensioni ed equilibri. Ad esempio, si può scegliere di costruire una melodia a partire dalla scala di La Maggiore oppure di La Minore. Le note della scala e gli accordi costruiti su di esse dovranno poi obbedire a delle leggi che li pongono necessariamente in relazione rispetto alla tonica (la nota che definisce la tonalità di una scala o di un brano musicale, attorno alla quale tutte le altre gravitano).

Questa è una scelta fondamentale che compie il musicista nel momento in cui inizia a comporre perché determinerà il carattere del brano, le emozioni che trasmetterà e l’umore che lascerà in chi ascolta. Un po’ come la scelta che compie un pittore quando decide quale colore utilizzare.

Una scelta fondamentale perché il nostro orecchio trova più allegre e spensierate le melodie strutturate su accordi e tonalità maggiori, più malinconiche in tonalità minori. Questo per rapporti di consonanza o dissonanza tra le note e gli accordi con cui vengono poi costruite le melodie musicali che risulteranno più o meno gradevoli all’ascolto. Non è semplice spiegarlo, dovrei entrare in tecnicismi di Armonia, vi lascio l’ascolto di esempi pratici.

Qui trovate tra le più famose colonne sonore di film horror suonate in Maggiore.
Vi risulteranno molto meno paurose e alcune anche divertenti.



Al contrario, sentite come diventa “Happy Birthday” in tonalità minore.
Un compleanno decisamente triste!


Si può arrivare anche all’assurdo di una “Smells Like Teen Spirit” in tonalità maggiore che fa sembrare quasi allegro anche Kurt Cobain. Vi avviso: cliccate “play” a vostro rischio e pericolo, è più paurosa di qualsiasi cosa vi sia successa ieri nella notte di Halloween!