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Pitagora: la musica, la matematica e l’Armonia delle Sfere

Pitagora lo conosciamo tutti. È uno di quei personaggi importanti che si studiano a scuola e per un motivo o per l’altro non si scordano più. È stato un pensatore, matematico, filosofo vissuto nel VI secolo a. C., nato a Samo venne in Italia e fondò la sua scuola a Crotone. Lo ricordiamo soprattutto per il suo famosissimo teorema, rispolveriamo la memoria: in ogni triangolo rettangolo l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti.

Quello che forse viene poco raccontato è quanto le scoperte di Pitagora siano state fondamentali anche in campo musicale. La filosofia pitagorica concepì la musica come elemento che, assieme alla matematica, coinvolge tutto l’Universo. Il concetto di Musica come scienza della ragione e come qualcosa di immutabile è una scoperta da cui prenderà vita, nei secoli successivi, quella che chiamiamo la civiltà musicale occidentale.

Narra la leggenda che tutto cominciò circa 2.500 anni fa nella bottega di un fabbro. Si racconta che Pitagora, durante le sue passeggiate, vi passasse spesso accanto; un giorno prestò particolare attenzione ai diversi suoni squillanti prodotti dai martelli sulle incudini e si domandò come mai alcuni fossero così piacevoli, armoniosi, se accostati tra di loro. Entrò e capì che responsabili dei diversi suoni prodotti erano i diversi pesi dei martelli.

immagine da: Gaffurio “Theorica Musicae” 1492

Pitagora ripeté l’esperimento su un monocordo, strumento composto da una sola corda tesa sopra una cassa di risonanza. Pizzicando la corda si ottiene un determinato suono, Pitagora scoprì che dimezzando corda e pizzicandone la parte dimezzata si ottiene un altro suono che ben si lega con il primo: è lo stesso suono, ma di un’altezza diversa. Pitagora ha scoperto così che con un rapporto di numeri, in questo caso 2:1, si può descrivere un rapporto armonico musicale che oggi chiamiamo intervallo di ottava (è la distanza, ad esempio, tra un Do e il Do successivo).

Pitagora è andato oltre: ha diviso la corda in 3 parti e ha scoperto un altro suono armonico molto importante, l’intervallo di quinta, che è in rapporto di 3:2 (es. distanza tra Do e Sol). Dividendo ancora la corda 4 parti e pizzicandola in un rapporto di 4:3 otteniamo un intervallo di quarta (ad esempio tra Do e Fa)

Utopia Razionale: Pitagora e Mondrian, conferenza tenuta all ...

Pitagora quindi scoprì che i primi quattro numeri interi (1, 2, 3, 4) creano tra di loro rapporti fondamentali e interessanti, trovò le forme universali della consonanza: 2:1 (ottava); 3:2 (quinta); 4:3 (quarta). Oggi sappiamo che questi rapporti tra le note corrispondono alle frequenze, a quell’epoca non si poteva sapere.  Pitagora scoprì i suoni della scala diatonica e molti degli intervalli che ancora oggi governano le regole dell’acustica musicale occidentale.

Inoltre, se sommiamo proprio questi primi quattro numeri (1 + 2 + 3 + 4) otteniamo come risultato 10, il numero “magico” dei Pitagorici che si può rendere graficamente con un oggetto matematico chiamato Tetraktys.

Un oggetto incredibilmente semplice e altrettanto incredibile, venerato dai Pitagorici. Perfetta ed esemplare riduzione del numerico allo spaziale e dell’aritmetico al geometrico. La Tetraktys simboleggiava la perfezione del numero e degli elementi che lo comprendono, era il paradigma numerico della totalità dell’Universo.


L’armonia delle sfere

Profondamente colpito da questo legame tra musica e numeri, Pitagora trasse la conclusione che “il numero è sostanza di tutte le cose” e che quindi tutto fosse misurabile e si potesse descrivere in maniera razionale con numeri interi.

Si poteva così spiegare il moto degli astri, il succedersi delle stagioni, i cicli delle vegetazioni e le armonie musicali. La grande importanza dei Pitagorici è che per primi hanno ricondotto la natura all’ordine misurabile e hanno riconosciuto in quest’ordine ciò che dà al mondo la sua unità, la sua armonia e quindi anche la sua bellezza.

I Pitagorici, scrive Aristotele, vedendo che molte delle proprietà dei numeri appartengono ai corpi sensibili, stabilirono che gli esseri sono numeri, non numeri separati, ma quelli di cui consistono. E perché? Perché le proprietà che appartengono ai numeri risiedono nell’armonia, nel cielo e in molte altre cose.

(Met., XIV, 3, 1090 a 21 sgg.)

Pitagora e i suoi seguaci teorizzarono l’idea di un Universo governato da proporzioni numeriche armoniose che determinavano il movimento dei corpi celesti e le distanze tra i pianeti corrispondevano ai rapporti numerici degli intervalli musicali.

La rotazione dei pianeti nello spazio venne associata ad una sinfonia musicale chiamata “Armonia delle Sfere”: una musica celestiale, bellissima, che le nostre orecchie non riescono più a percepire perché da sempre abituate a sentirla. Un po’ come quando si sta a lungo accanto ad un fiume e ci si abitua al fragore delle acque.

Tutto quanto si svolge nel cielo e sulla terra è sottomesso a leggi musicali.

Cassiodoro (VI sec.)

Di origine pitagorica sono anche le tradizionali associazioni delle sfere planetarie alle sette corde della lira e dei sette pianeti ai sette suoni formati da due tetracordi (due scale composte da 4 suoni) che si uniscono tra loro e coincidono in una nota comune, in origine la corda centrale sulla quale si regolava l’accordatura. A questa nota centrale i pitagorici identificarono Apollo, il dio dell’armonia cosmica, e il Sole al quale, data la sua posizione mediana nell’ordine che si dava all’epoca alle sfere celesti, si attribuiva un’azione di vincolo e di coesione tra i restanti pianeti.

Le proporzioni dell’universo armonicamente riferite al monocordo in un’opera di Robert Fludd (1574-1637)

La rappresentazione pitagorica dell’universo come armonia ebbe molto successo nell’antichità, ne parlarono Platone, Aristotele, Claudio Tolomeo, Cicerone. Fino ad arrivare a Boezio (sec. V-VI d.C.) e alla sua famosa tripartizione della musica:
musica mundana (armonia delle sfere, macrocosmo);
musica humana (armonia interiore, musica dell’anima, microcosmo);
musica instrumentalis (musica strumentale, nel senso che noi comprendiamo oggi). 

A Boezio si deve anche la codificazione delle Arti Liberali che nel Medioevo costituivano i due gradi dell’insegnamento, l’uno letterario (Trivium) e l’altro scientifico (Quadrivium), e ovviamente la Musica era tra le materie fondamentali della sfera scientifica:
Trivium: grammatica, retorica, dialettica;
Quadrivium: aritmetica, geometria, musica, astronomia.

Anche Dante ne parlò esplicitamente in diversi punti della “Divina Commedia” e nel “Convivio” dove, ribadita l’intima corrispondenza tra i primi sette cieli e le dottrine del Trivium e del Quadrivium, alla Musica è assegnato il cielo di Marte. Per il Sommo Poeta è la relazione più bella dei cieli: essendo complessivamente nove, alla Musica è assegnato il quinto posto, quello più importante e centrale.

E queste due propietadi sono nella Musica: la quale è tutta relativa, sì come si vede nelle parole armonizzate e nelli canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa s’intende. Ancora: la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve lo suono.

Dante, Convivio (tratt. 2.13)

Dante Alighieri e Beatrice contemplano l’Empireo
(illustrazione di Gustave Doré)
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Perché ascoltare musica ci fa stare bene?

Si può analizzare scientificamente e oggettivamente un suono, possiamo con certezza parlare della sua altezza, del timbro, della durata. Si può analizzare armonicamente una melodia sezionandola nota dopo nota, ma non si riesce mai pienamente a valutare quale impatto determinerà nell’ascoltatore.

«Visto con il freddo occhio del fisico, un evento musicale è solo una raccolta di suoni di varia altezza, durata, e altre qualità misurabili. In qualche modo, la mente umana attribuisce a questi suoni un significato. Essi diventano simboli per qualcos’altro che va al di là del puro suono, qualcosa che induce a piangere o a ridere, che piace o dispiace, che commuove o lascia indifferenti.» John Sloboda (musicologo e rappresentante della Psicologia Cognitivista)

La maggior parte di noi ascolta musica o suona uno strumento perché la musica è capace di suscitare emozioni: può rallegrare, annoiare, consolare oppure essere un sollievo e una via di fuga dalla noia e dalla monotonia. Se un alieno di una lontana civiltà ci chiedesse perché dedichiamo tanto tempo e interesse all’ascolto della musica la risposta sarebbe: perché la musica ha la capacità di elevare il livello della nostra vita emotiva.

Accantonando l’importanza sociologica che può avere la Musica intesa come collante di identità culturali e focalizzando l’attenzione sulle implicazioni psicologiche, si scopre che il potere terapeutico delle note è attestato da innumerevoli studi. La musica è in grado di modulare l’umore di una persona in diverse modalità: influisce sia nei più semplici contesti quotidiani donando momenti di svago, evasione, compagnia, ma in una prospettiva più ampia ha anche il potere di promuovere il benessere fisico e psicologico.

I benefici della musica sono tantissimi: aiuta contro i disturbi dell’umore, il disagio psichico, la depressione, deficit di lettura e di apprendimento, l’autismo, la demenza e le malattie neurodegenerative. L’esercizio muscolare legato all’uso di uno strumento è un’ottima e piacevole terapia riabilitativa per i pazienti che hanno subito lesioni motorie. La musica stimola la consapevolezza interiore, accresce il nostro benessere e migliora il nostro umore; influisce sul battito cardiaco, la pressione sanguigna, la respirazione, il livello di alcuni ormoni, in particolare quello dello stress, e le endorfine.

Un approfondito articolo del Centro di Psicologia Clinica conferma che anche il sistema immunitario risente dell’effetto della Musica. I fattori che più colpiscono il nostro sistema difensivo dall’attacco di patogeni e di agenti estranei sono lo stress e l’invecchiamento. È stato visto come la musica possa giocare un ruolo fondamentale nell’attenuare il naturale decorso della vita che porta ad indebolire le proprie difese.

«La presenza della musica in tutti gli ambiti della vita dà un’idea della sua importanza e della sua capacità di estendersi a qualsiasi circostanza apportando effetti positivi».



Per approfondimenti:
– John A. Sloboda, “La mente musicale”, Urbino, Il Mulino, 2004.
– articolo “La musica come generatore di emozioni e di processi cognitivi” del Centro di Psicologia Clinica. Leggi l’articolo cliccando qui.

(foto di copertina: Rita Hayworth)

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Lo streaming musicale? Esisteva già nel 1906


Benvenuti nel futuro! Era impensabile una quindicina di anni fa: una startup innovativa, più che una promessa una speranza, oggi è diventata il segmento del music business che è riuscito a riportare in positivo i bilanci della discografia. È lo streaming!

La cosiddetta “musica liquida” secondo l’Ifpi nel 2018 ha smosso un giro d’affari da 8,9 miliardi di dollari, il 34% in più rispetto all’anno precedente. Impressionante per qualcosa che nel 2004 non esisteva. Leader indiscusso è Spotify, nel primo trimestre 2019 ha toccato quota 100 milioni di utenti a pagamento con una quota di mercato del 36%, seguita da Apple Music con 56 milioni di iscritti; a seguire Amazon Music, Youtube Music, Deezer e altri ne stanno nascendo.

Tutta la musica che vuoi ascoltare a portata di un click dal tuo telefono, sarà anche “smart” ma tecnicamente è pur sempre un telefono. Tuttavia non è la prima volta che nel corso della storia si è pensato di trasmettere della musica attraverso una linea telefonica, cento anni fa esisteva già un servizio di streaming musicale telefonico: il Telharmonium.

New York Times, dicembre 1906


Il Telharmonium fu il primo strumento musicale elettronico della storia. Inventato da Thaddeus Cahill intorno al 1897 era una macchina gigantesca grande come un vagone ferroviario, pesava 200 tonnellate e può essere considerato l’antenato dell’organo elettromeccanico Hammond. Era composto da 145 dinamo accoppiate ad induttori per la produzione di correnti alternate capaci di variare la frequenza. Le frequenze erano controllate da alcune tastiere sensibili alla pressione delle dita, proprio come un pianoforte, capaci di combinare insieme le diverse frequenze e creare effetti sonori che imitavano gli strumenti dell’orchestra.

La seconda idea geniale di Cahill fu quella di creare un impianto di filodiffusione e pensò ad un sistema di trasmissione della musica attraverso la normale linea telefonica. Da qui la nascita del nome tele-harmonium, un mezzo di trasmissione del suono, una sorta di Spotify Vittoriano. Il Telharmonium sembra quasi una macchina uscita dall’universo Steampunk, il movimento artistico culturale che gioca con anacronismi e tecnologie, immaginando “come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima” con città di automobili a vapore e computer meccanici con tastiere in ottone e cuoio.

Immagine tratta dalla copertina di “Scientific American” 9 marzo 1907

Il Telharmonium fu installato e iniziò a funzionare nel 1906 a Broadway, New York: gli ascoltatori chiamavano un centralino che li metteva in contatto con una sorta di stazione radio telefonica, chiedevano all’operatore di potersi connettere e la musica usciva magicamente dalla cornetta del telefono; la cornetta poteva essere avvicinata ad un grande imbuto per amplificarne il volume (l’amplificatore elettrico non era ancora stato inventato).

Il sistema fu adottato da molti hotel, bar, ristoranti e attirò anche l’attenzione dello scrittore Mark Twain che si recò di persona a vedere da dove uscisse quella melodia:

Ogni volta che vedo o ascolto di una nuova meraviglia come questa devo rimandare subito la mia morte. Non posso lasciare questo mondo fin quando non ne avrò sentite ancora e ancora.

Mark Twain

Fu un’iniziativa che dimostrò già allora una particolare attenzione per la diffusione di massa della musica, anche se le opere trasmesse erano di compositori come Bach, Mozart, Chopin, Grieg e Rossini. Il progetto però non durò molto e il Telharmonium fu dismesso nel 1916 per motivi di natura tecnica (il sistema telefonico non reggeva il forte sovraccarico di informazioni creando problemi al servizio) e il gigantesco macchinario nel 1920 fu rimosso dall’appartamento della 39st & Broadway di New York. La fine del Telharmonium coincise con l’avvento di uno dei mezzi di comunicazione di massa più diffusi: il sistema radiofonico.


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Vedere l’armonia: il suono si fa forma

“La Musica è un esercizio aritmetico della mente che conta senza sapere di contare” (Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi) scriveva Leibniz, rifacendosi alle teorie pitagoriche secondo cui il segreto dell’armonia risiede nel potere magico dei numeri.

Ascoltare una bella melodia e pensare che risponda a specifici rapporti matematici è qualcosa di molto astratto, soprattutto per chi non è un musicista. Studiando la teoria musicale si scopre come tutto segua delle regole precise. Nel Medioevo, ad esempio, la Musica (“ars musica”) veniva insegnata nel Quadrivio insieme alle discipline attribuite alla sfera matematica (aritmetica, geometria, astronomia).

La Musica può essere descritta in senso formale come una serie di eventi sonori disposti nel tempo: ogni nota ha una sua funzione perché inserita all’interno di un sistema di relazioni spiegato dalla scienza dell’armonia. Ad esempio, nel sistema musicale occidentale possiamo pensare alla scala di Do maggiore, costituita da 7 suoni diversi per numero di vibrazioni (la frequenza) ai quali per convenzione diamo i nomi di: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La Si.

Come gradini di una scala, questi 7 suoni sono distanti tra loro e la distanza tra un suono e l’altro viene chiamata “intervallo” che quindi rappresenta la differenza di altezza tra due note.

Tornando alla nostra scala di Do maggiore: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La Si e poi nuovamente Do (se vogliamo proseguire e salire sempre di più) il secondo Do è un suono diverso dal primo, è più acuto. Porta sempre il nome di Do perché ha una somiglianza speciale con il primo: ha un numero doppio di vibrazioni per secondo (stanno in rapporto di 2:1) e si dice per convenzione che è all’ottava superiore del primo (in quanto è l’ottavo suono dopo il Do iniziale). Tra Do e Re c’è un intervallo di seconda, tra Do e Mi di terza, tra Do e Fa di quarta e via dicendo.

La distanza tra due note quindi è definita da un ben determinato rapporto numerico: il rapporto delle frequenze di quelle due note. Il discorso è molto complicato da spiegare brevemente, ma spero questo accenno possa far intuire come i suoni delle scale musicali siano collegati tra loro da precisi rapporti matematici.

I rapporti tra le note creano armonia non solo all’udito, ma anche nella forma ed esiste un modo per vedere queste misteriose frequenze e il rapporto magico che creano tra di loro.
Guardate com’è il rapporto di ottava, la distanza tra i due Do di cui parlavamo prima.

Ricorda il numero otto e anche il simbolo dell’infinito. Questa scoperta si deve al matematico francese Jules Lissajous, che a metà del XIX secolo scoprì come proiettare una vibrazione sonora su uno schermo. L’esperimento consiste nel proiettare un raggio luminoso tra le forcelle di un diapason (uno strumento musicale di metallo a forma di U che vibrando produce suoni di un’altezza perfettamente determinata); con un gioco di specchi, il raggio riflette la vibrazione su uno schermo producendo un’onda sinusoidale.

Aggiungendo un altro diapason e sommando due diverse vibrazioni Lissajous scoprì che producevano forme bellissime, oggi conosciute come “figure di Lissajous”, possono essere considerate come l’espressione geometrica dell’armonia musicale.

Erano le prime immagini dell’armonia. Dopo tanta teoria Lissajous ha dimostrato come l’unione di due particolari note in “armonia” tra loro crea non solo suoni armonici, ma anche forme armoniche.

La musica deriva da principi matematici capaci di creare complessità, armonia, varietà e bellezza.

A questo link viene riproposto l’esperimento di Lissajous con i due diapason e il gioco di specchi, proprio come doveva averlo ideato lo scienziato francese.

Mentre grazie alla tecnologia oggi possiamo osservare queste particolari onde con immagini più chiare e dirette:


Infine, una vera magia.

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Il suono muove la materia, guarda cosa può fare la musica

fiamme mosse dalla musica, cimatica


“La musica è il linguaggio magico del sentimento” è una definizione che mi è sempre piaciuta, a discapito dei freddi rapporti artificiosi dell’armonia. Musica e regole matematiche sembrano due mondi lontanissimi, invece studiando la teoria musicale si scopre come tutto segua delle regole precise. Nel Medioevo, ad esempio, la Musica (“ars musica”) veniva insegnata nel Quadrivio insieme alle discipline attribuite alla sfera matematica (Aritmetica, Geometria, Astronomia); è solo con l’età moderna che la sua parte emotiva ha guadagnato terreno.

Aspetto teorico e aspetto emotivo (almeno nella cultura musicale occidentale) sono due facce della stessa medaglia che vanno a completarsi l’un l’altra. Prendendo a prestito la filosofia di Eraclito: l’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia.

Ascoltare una bella melodia e pensare che risponda a specifici rapporti matematici ha un fascino misterioso studiato da una branca della Fisica: l’acustica. È la scienza teorica e sperimentale del suono che studia i fenomeni relativi alla produzione e propagazione delle onde sonore, le leggi che regolano la vibrazione dei corpi, la loro applicazione nella teoria musicale e negli strumenti, la ricezione del suono etc.

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Il suono si muove nello spazio sotto forma di vibrazioni e si propaga per onde sferiche in modo uniforme in tutte le direzioni decrescendo man mano che aumenta la distanza (il classico esempio del sasso gettato nello stagno che crea tutta una serie di onde concentriche). Sono lontani ricordi di scuola e ora non vorrei dilungarmi in formule e diagrammi. Analizzare i rapporti con cui le discipline acustiche della Matematica e della Fisica indagano la Musica non chiarisce nulla del suo pathos, ma possono realizzare una magia: far “vedere” la musica e cosa può fare una musica.

Se si prende una lastra metallica cosparsa di sabbia finissima, la si collega ad un altoparlante e si fa partire una musica guardate cosa succede: al variare delle frequenze i granelli si spostano sulla lastra creando geometrie perfette. Sembrano dei bellissimi mandala.

L’esperimento, conosciuto come “lastre di Chladni”, prende il nome dal musicista e fisico tedesco Ernst Chladni che iniziò a studiare questi fenomeni di acustica già alla fine del 1700. Lo studio venne poi ripreso dal medico svizzero Hans Jenny nel 1967 che ne coniò anche il nome: “cimatica” (dal greco kyma “onda”) che significa “studio riguardante le onde”.

La cimatica è un portale sul mondo invisibile del suono.

Ascoltare una musica crea emozione, suggestione, può trasportare in mondi immaginari meravigliosi grazie alla fantasia e alla sensibilità di chi ascolta. Nel caso di questi esperimenti invece la spiegazione è scientifica, ma non meno affascinante e misteriosa. D’altronde lo aveva già detto Pitagora: “la geometria delle forme è musica solidificata.

La cimatica ha ispirato anche il musicista neozelandese Nigel Stanford che ha realizzato una serie di esperimenti facendo interagire la musica con diversi materiali: acqua, fuoco, sabbia e anche le bobine di Tesla. Il risultato è un video da 28 milioni di visualizzazioni. Impressionante, affascinante.

Cosa può fare una musica? Ascoltate Guardate:


Se questi esperimenti di Cimatica vi hanno incuriosito, consiglio di visitare anche il suo sito ufficiale https://nigelstanford.com/Cymatics/ per curiosare nei “dietro le quinte” e scoprire tutto quello che la musica può fare!

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Chi ha inventato il nome delle note?


Le note sono sette e le conosciamo tutti: Do Re Mi Fa Sol La Si. È una di quelle nozioni che si imparano a scuola da piccoli e non si dimenticano più, come la Mesopotamia “mezzaluna fertile tra il Tigri e l’Eufrate” e le industrie siderurgiche e metallurgiche, passepartout alle interrogazioni di Geografia.

Anche se poi non si è diventati musicisti e la carriera musicale si è conclusa con il flauto delle Medie, i sette nomi delle note li ricordiamo ancora. Ma chi ha inventato il nome delle note? E perché proprio quelle sette sillabe?

Non sono state scelte a caso e hanno un’origine ben precisa. I nomi delle note, nei paesi latini, vennero introdotti nei primi decenni del XI secolo da un italiano, il teorico musicale e monaco benedettino Guido d’Arezzo (992 ca – 1050 ca) che ideò la formula mnemonica per ricordare l’esatta intonazione delle note dell’esacordo (successione di sei suoni) assegnando a ciascuna un nome (Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La) corrispondente alla prima sillaba di ogni emistichio di un inno gregoriano a San Giovanni.

Ut queant laxis è l’inno liturgico cantato ai Vespri del 24 giugno per la solennità della natività di San Giovanni Battista (anticamente considerato il patrono dei musicisti) composto dal monaco, storico e poeta, Paolo Diacono (Cividale del Friuli, 720 –Montecassino, 799)
«Ut queant laxis       
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes»
«Affinché possano cantare
con voci libere
le meraviglie delle tue gesta
i servi Tuoi,
cancella il peccato
dal loro labbro impuro,
o San Giovanni»


Guido d’Arezzo si accorse che ogni metà verso iniziava con uno dei sei suoni della scala: la sillaba ut corrispondeva al suono che oggi chiamiamo Do, la sillaba re di “resonare” al Re e così via. Questo sistema teorico chiamato “solmisazione” (la prima forma di solfeggio) fu fondamento della pratica e della didattica musicale in Europa fino a tutto il Cinquecento e oltre.

L’uso di queste sillabe permetteva a scolari e musicisti un più facile apprendimento della musica grazie anche allo stratagemma mnemonico della “mano guidoniana” che appare in molti manoscritti medievali. Per aiutare la memorizzazione dell’esatta intonazione dei gradi della scala musicale ad ogni parte della mano si faceva corrispondere una nota, che lo studente doveva cantare utilizzando i gesti usati nel solfeggio.

Mano Guidoniana

Il Si, la settima nota della scala di Do, si affermò nel XVII secolo col decadere del sistema modale costruito sull’esacordo (la scala di 6 suoni) e con l’imporsi del sistema tonale, basato sulla scala di 7 note. Il nome deriva dall’unione delle lettere iniziali delle parole “Sancte Johannes”, l’ultimo verso della prima strofa dell’Inno usato da Guido d’Arezzo.

Sempre nel XVII secolo l’Ut (ancora oggi in uso in Francia) di difficile pronuncia si trasformò in Do per iniziativa del teorico fiorentino Giovanni Battista Doni che si servì della sillaba iniziale del suo cognome o forse della parola “Dominus” (Signore).

Prima dell’introduzione delle sillabe di Guido d’Arezzo come si faceva? Si utilizzava la notazione alfabetica, con cui si fanno corrispondere i suoni della scala ad una lettera dell’alfabeto. È un’antica forma di notazione che si ritrova sia nelle civiltà orientali (come Cina e India) sia nella Grecia classica. (Nel corso del Medioevo si affermò anche la notazione neumatica che utilizzava simboli grafici, ma è un’altra lunga storia).

Oggi la notazione alfabetica è ancora utilizzata nei paesi anglosassoni: le prime sette lettere dell’alfabeto corrispondono alle sette note.


È utilizzata anche nei paesi di lingua tedesca con una variante: A B C D E F G H corrispondo alle note: La, Si bemolle, Do, Re, Mi Fa, Sol, Si bequadro.

La notazione ellenica fu usata a Roma fino agli inizi del Medioevo, le lettere dell’alfabeto greco vennero sostituite con le prime 15 lettere dell’alfabeto latino (da A a P) dal filosofo e letterato Boezio (fondamentale l’opera in 5 libri “De istituzione musicae” del 500-507) in un sistema che si componeva di 15 suoni divisi in 2 ottave. Questa notazione fu poi codificata nel X secondo da Oddone di Cluny usando le prime 7 lettere l’alfabeto latino per indicare le note a partire dalla scala ascendente di La.

Quindi attenzione perché anche oggi nella notazione anglosassone A corrisponde alla nota La e non al Do. Non si sa con certezza come mai Oddone di Cluny considerò come nota di partenza il La, forse perché è la nota convenzionale di accordatura degli strumenti oppure, più probabilmente, perché dal primo modo gregoriano si ottiene quella che poi sarebbe diventata la scala di La minore naturale.