In ogni epoca il fare musica può essere considerato come un collante di gruppo: nei campi di cotone, nelle risaie, nelle marce degli alpini, a Woodstock, ai concerti dei Beatles, nei rave: la musica è il collante di un’identità.
Ascoltare, ballare o suonare un certo tipo di musica è un modo per affermare la propria identità e sentirsi parte di una collettività come può essere la scelta di quali abiti indossare, che mezzo di trasporto usare o quali letture fare.
La Sociologia della Musica ha studiato come l’esperienza musicale svolga un ruolo importante nella formazione e nell’affermazione di identità individuali e collettive. Nel corso della nostra esistenza sviluppiamo un senso di appartenenza ad un determinato luogo, nazione, religione, parte politica, gruppo d’età, classe sociale… Sono forme di identità che la musica, attività sociale per eccellenza, aiuta a determinare, e alle volte anche ostentare, caricandole di un valore simbolico profondo ed efficace.
Il musicologo e sociologo Marcello Sorce Keller afferma che: «L’attività del far musica, i nostri gusti nel produrla, nell’ascoltarla, le nostre scelte di partecipare con altri ai riti a cui essa dà sostanza, costituiscono un ulteriore modo di chiarire a noi stessi e a chi ci osserva chi siamo (o perlomeno chi pensiamo di essere o desideriamo essere), con chi ci identifichiamo e con chi invece non desideriamo confonderci».
La musica, il far musica pertanto, è un’attività che, al tempo stesso, ci accomuna a qualcuno e ci separa da qualcun altro, sempre e ovunque.
Marcello Sorce Keller
Per trovare degli esempi non occorre andare molto lontano nel tempo, se ne possono ritrovare facilmente molti nel corso della storia del Novecento. Negli anni Cinquanta il Rock’n’Roll fu il primo caso in cui un genere musicale venne usato da un’intera generazione di ragazzi quasi come una bandiera e un mezzo per dare voce alla rottura con i valori della società dei loro padri.
Il Rock’n’Roll dall’America si diffuse poi in tutta Europa e formò una sottocultura giovanile che scelse a simbolo della propria identità quella particolare musica, anche se proveniva da un altro continente. Questo è un esempio di come si possa formare un “sound group” di persone che sceglie di adottare una certa musica come stile di vita per i valori che in essa vede rappresentati. Così accade oggi con generi musicali come la Trap, l’Indie Rock, il K-Pop e molti altri che fanno presa sulle giovani generazioni, ma che non catturano tutti coloro che a quegli ambiti appartengono.
La musica Classica europea, per secoli dominata dalla Chiesa e privilegio delle corti aristocratiche, nell’Ottocento è diventata un rito sociale appartenente alla borghesia. Le canzoni di una patria lontana invece mantengono vivi il sentimento di appartenenza degli emigrati; gli inni nazionali, le marce militari, le canzoni di protesta e i canti religiosi sono altri facili esempi. Mantenendo sempre validi altri generi musicali ormai classici e le loro relative differenti identità come Jazz, Blues, Pop, Rock, Punk, Metal. Ognuno nel tempo ha creato determinate sottoculture portatrici di specifici valori i cui fan, ieri come oggi, si sentono accomunati.
La propria identità sociale non è però fissa e univoca, si può far parte contemporaneamente di diversi gruppi sociali all’interno dei quali ci sono diversi gusti e generi musicali; poi si cresce e anche l’età e l’evoluzione personale contribuiscono alle scelte musicali. Insomma, quasi nessuno ama solo e per sempre un unico genere musicale.
Per un approfondimento:
Marcello Sorce Keller «Musica come rappresentazione e affermazione di identità». In: Tullia Magrini (a cura di), Universi sonori: Introduzione all’etnomusicologia, Torino, Einaudi.
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