Il pianoforte è uno strumento di assoluto fascino, protagonista di infinite composizioni musicali e tra gli strumenti più conosciuti e praticati. Viene definito tecnicamente come uno “strumento musicale a corde percosse mediante martelletti azionati da una tastiera”, una descrizione che nasconde l’evoluzione di una storia da scoprire, merito della geniale intuizione del padovano Bartolomeo Cristofori.
L’alba del pianoforte ha origine nei primi strumenti a corda come il salterio, in uso presso Egiziani ed Ebrei, più volte citato nella Bibbia, che si suonava pizzicando le corde tese sopra ad una cassa di risonanza. Uno strumento analogo esisteva anche in Cina migliaia di anni prima dell’era Cristiana; mentre Pitagora (VI secolo a.C.) nei suoi studi sulle relazioni matematiche tra i toni musicali utilizzò il monocordo: la corda era tesa su una cassa di risonanza e si poteva dividere in varie lunghezze mettendola in vibrazione con un plettro. Passando poi alla storia degli organi (uno dei primi è stato l’Hydraulis, III secolo a. C.) che svilupparono un’altra componente fondamentale del pianoforte: la tastiera.
Fino ad arrivare al precursore del moderno pianoforte: il clavicembalo, inventato dal viennese Hermann Poll (1370-1401). Uno strumento a corde pizzicate tese sopra una tavola armonica e dotato di tastiera. Pigiando un tasto veniva azionato un plettro che pizzicava la corda facendola vibrare e quindi produrre un suono. Il clavicembalo per tutto il periodo Barocco divenne uno strumento molto amato nelle case nobiliari ed è usato ancora oggi per eseguire musica antica; il suo suono ha anticipato la ricchezza dinamica e l’eleganza del pianoforte moderno.
Qui fa il suo ingresso nella storia Bartolomeo Cristofori, nato a Padova il 4 maggio del 1655 e conosciuto fin da giovane come bravo costruttore di cembali e strumenti a corda molto apprezzati. Nel 1688 passò dalle sue parti il principe Ferdinando de’ Medici, grande mecenate, umanista e ottimo clavicembalista, che lo volle a Firenze come cembalaro di corte. È tuttora documentata la sua attività di progettista e costruttore di strumenti musicali e al museo Cherubini di Firenze si possono ammirare una spinetta, un cembalo in cipresso, un organo e anche un pregevole contrabbasso, testimonianza delle sue abilità come liutaio.
Bartolomeo Cristofori rimase a Firenze fino alla sua morte e alla corte di Ferdinando de’ Medici ebbe una geniale intuizione: creare un nuovo strumento con possibilità dinamiche controllabili dall’esecutore. Pensò quindi di sostituire il meccanismo dei salterelli del clavicembalo con quello dei martelletti, cioè passare da uno strumento con corde pizzicate a uno strumento con corde percosse. Questo ha dato la possibilità di poter dosare la sonorità e suonare sia “il piano che il forte” a seconda della forza con cui si pigiano i tasti: la percussione delle corde per mezzo di un martelletto azionato con maggiore o minore forza permette di ottenere suoni più o meno intensi.
Il costruttore padovano dette nome allo strumento da lui inventato “Gravicembalo col piano e col forte” da cui deriva il moderno nome “Pianoforte” preceduto dal più antico “Fortepiano”.
Questo nuovo strumento diede la possibilità ai musicisti di ottenere sonorità più o meno forti a seconda della forza con cui le dita premevano i tasti, a differenza di strumenti come organi e clavicembali il cui meccanismo a corde pizzicate non permetteva di controllare la dinamica.
L’invenzione di Bartolomeo Cristofori viene descritta qualche anno dopo nel 1711 in un articolo pubblicato dal marchese veronese Scipione Maffei nella rivista scientifica “Giornale dei letterati d’Italia” che ne descrive nel dettaglio anche l’innovativa meccanica.
Dei numerosi strumenti di questo tipo da lui costruiti ce ne sono pervenuti solo tre e sono tutti firmati con la scritta: “Bartholomaeus de’ Christophoris Patavinus inventor faciebat Florentiae” cui segue la data a numeri romani. Il più antico è del 1720 (nel 2020 ha compiuto 300 anni e si può ancora suonare) già appartenuto alla fiorentina signora Emesta Mocenni Martelli e ora conservato al Metropolitan Museum di New York (per donazione di Mrs. J. Crosby Brown). Il secondo datato 1722 è al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma e il terzo del 1726 è conservato nel Musikinstrumenten Museum dell’Università di Lipsia.
Il Fortepiano di Bartolomeno Cristofori però non ebbe successo in Italia e molti anni dopo, nel 1726, il costruttore tedesco di organi Gottfried Silbermann costruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori che sottopose al parere anche di Johann Sebastian Bach. Lo strumento piacque molto anche a Federico II di Prussia che ne comprò ben sette.
E così il pianoforte, nato in Italia, divenne ben presto appannaggio dell’industria tedesca e poi francese ed inglese. La musica composta specificatamente per pianoforte iniziò ad essere scritta qualche anno dopo e la sua ascesa come strumento da concerto e da esecuzione solistica fu inarrestabile.
Solo di recente sono stati valorizzati i meriti di Bartolomeo Cristofori ad esempio con le grandi celebrazioni del 1955 nel tricentenario della sua nascita e con la recente istituzione a Padova dell’Associazione Bartolomeo Cristofori Amici del Conservatorio e del Festival Pianistico Internazionale “Bartolomeo Cristofori”.
Anche Google ha omaggiato Bartolomeo Cristofori, nel giorno del suo 360° compleanno il 4 maggio 2015, con un Doodle dinamico che consente di capire meglio il cambiamento tecnologico apportato da Bartolomeo Cristofori e permettere di suonare, forte o piano, la melodia della Corale della Cantata 147 di Johann Sebastian Bach.
«La musica, negli ultimi secoli, ha attraversato periodi di profonde trasformazioni proprio per merito della mai sopita ricerca in campo costruttivo ed esecutivo da parte di compositori, interpreti, teorici e costruttori di strumenti musicali; essi a partire dal XVII secolo, seguendo le trasformazioni politiche, sociali e di costume delle varie epoche, hanno contribuito alla evoluzione culturale e, nel caso limitato alla nostra indagine, alla evoluzione tecnologica del pianoforte e della relativa letteratura.
Uno dei punti più affascinanti della critica pianistica è sempre stato quello di cercare di comprendere come i compositori suonavano e volevano che si eseguissero le loro opere ma anche come le eseguono gli interpreti d’oggi e del passato. Stabilire i parametri interpretativi entro i quali esercitare le proprie capacità artistiche e di conseguenza adottare quest’ultimi anche nel valutare le esecuzioni musicali altrui è forse il compito più arduo per un musicista.»
Prof. Pierluigi Secondi
Conservatorio Statale di Musica, Istituto di Alta Cultura Musica “Luisa D’Annunzio” di Pescara.
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