Le note sono sette e le conosciamo tutti: Do Re Mi Fa Sol La Si. È una di quelle nozioni che si imparano a scuola da piccoli e non si dimenticano più, come la Mesopotamia “mezzaluna fertile tra il Tigri e l’Eufrate” e le industrie siderurgiche e metallurgiche, passepartout alle interrogazioni di Geografia.
Anche se poi non si è diventati musicisti e la carriera musicale si è conclusa con il flauto delle Medie, i sette nomi delle note li ricordiamo ancora. Ma chi ha inventato il nome delle note? E perché proprio quelle sette sillabe?
Non sono state scelte a caso e hanno un’origine ben precisa. I nomi delle note, nei paesi latini, vennero introdotti nei primi decenni del XI secolo da un italiano, il teorico musicale e monaco benedettino Guido d’Arezzo (992 ca – 1050 ca) che ideò la formula mnemonica per ricordare l’esatta intonazione delle note dell’esacordo (successione di sei suoni) assegnando a ciascuna un nome (Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La) corrispondente alla prima sillaba di ogni emistichio di un inno gregoriano a San Giovanni.
«Ut queant laxis Resonare fibris Mira gestorum Famuli tuorum Solve polluti Labii reatum Sancte Iohannes» |
«Affinché
possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue gesta i servi Tuoi, cancella il peccato dal loro labbro impuro, o San Giovanni» |
Guido d’Arezzo si accorse che ogni metà verso iniziava con uno dei sei suoni della scala: la sillaba ut corrispondeva al suono che oggi chiamiamo Do, la sillaba re di “resonare” al Re e così via. Questo sistema teorico chiamato “solmisazione” (la prima forma di solfeggio) fu fondamento della pratica e della didattica musicale in Europa fino a tutto il Cinquecento e oltre.
L’uso di queste sillabe permetteva a scolari e musicisti un più facile apprendimento della musica grazie anche allo stratagemma mnemonico della “mano guidoniana” che appare in molti manoscritti medievali. Per aiutare la memorizzazione dell’esatta intonazione dei gradi della scala musicale ad ogni parte della mano si faceva corrispondere una nota, che lo studente doveva cantare utilizzando i gesti usati nel solfeggio.
Il Si, la settima nota della scala di Do, si affermò nel XVII secolo col decadere del sistema modale costruito sull’esacordo (la scala di 6 suoni) e con l’imporsi del sistema tonale, basato sulla scala di 7 note. Il nome deriva dall’unione delle lettere iniziali delle parole “Sancte Johannes”, l’ultimo verso della prima strofa dell’Inno usato da Guido d’Arezzo.
Sempre nel XVII secolo l’Ut (ancora oggi in uso in Francia) di difficile pronuncia si trasformò in Do per iniziativa del teorico fiorentino Giovanni Battista Doni che si servì della sillaba iniziale del suo cognome o forse della parola “Dominus” (Signore).
Prima dell’introduzione delle sillabe di Guido d’Arezzo come si faceva? Si utilizzava la notazione alfabetica, con cui si fanno corrispondere i suoni della scala ad una lettera dell’alfabeto. È un’antica forma di notazione che si ritrova sia nelle civiltà orientali (come Cina e India) sia nella Grecia classica. (Nel corso del Medioevo si affermò anche la notazione neumatica che utilizzava simboli grafici, ma è un’altra lunga storia).
Oggi la notazione alfabetica è ancora utilizzata nei paesi anglosassoni: le prime sette lettere dell’alfabeto corrispondono alle sette note.
È utilizzata anche nei paesi di lingua tedesca con una variante: A B C D E F G H corrispondo alle note: La, Si bemolle, Do, Re, Mi Fa, Sol, Si bequadro.
La notazione ellenica fu usata a Roma fino agli inizi del Medioevo, le lettere dell’alfabeto greco vennero sostituite con le prime 15 lettere dell’alfabeto latino (da A a P) dal filosofo e letterato Boezio (fondamentale l’opera in 5 libri “De istituzione musicae” del 500-507) in un sistema che si componeva di 15 suoni divisi in 2 ottave. Questa notazione fu poi codificata nel X secondo da Oddone di Cluny usando le prime 7 lettere l’alfabeto latino per indicare le note a partire dalla scala ascendente di La.
Quindi attenzione perché anche oggi nella notazione anglosassone A corrisponde alla nota La e non al Do. Non si sa con certezza come mai Oddone di Cluny considerò come nota di partenza il La, forse perché è la nota convenzionale di accordatura degli strumenti oppure, più probabilmente, perché dal primo modo gregoriano si ottiene quella che poi sarebbe diventata la scala di La minore naturale.
2 Comments
Marco Ferraro
8 Ottobre 2019 at 16:07Da insegnare a scuola!
Angela Forin
9 Ottobre 2019 at 07:54Esattamente! Questo è l’obiettivo 🙂