Quando parliamo di Musica, non parliamo mai solo di musica.
Parlare di Musica, lo raccontavo nella presentazione di Musicologica, è parlare di arte, di comunicazione, di evoluzione, rivoluzione, pensiero, progresso e scoperta. Una semplice canzone può essere molto più che un intreccio di musica e parole, ma in fondo tutti sappiamo o pensiamo di sapere che cos’è la canzone, almeno quella italiana. Guardando Sanremo, criticando X Factor, ascoltando Spotify o la radio, lo sappiamo: è lo specchio della nazione, un frammento nel nostro passato, la colonna sonora del suo tempo…
Sappiamo che è importante, che è Cultura, che alcune canzoni dovrebbero essere insegnate a scuola, ma in fondo “sono solo canzonette” e non le prendiamo mai troppo sul serio. Forse il Nobel vinto da Bob Dylan ha dato nuova luce alla canzone riproponendola come oggetto di comunicazione storica. Su questi concetti Jacopo Tomatis ha scritto un bel libro “Storia culturale della canzone italiana” con la consapevolezza e l’ambizione che fare una storia della canzone in Italia non significa “solo” parlare di musica, ma contribuire con un tassello importante alla storia culturale del Paese.
Faccio un passo indietro e torno al 9 novembre 1989. Sono passati 30 anni da quel giorno… ed è impossibile parlare della storia del Muro di Berlino senza parlare del forte legame che ha avuto con la musica. La sua storia è costellata di brani musicali ispirati e dedicati a quello che, da simbolo di divisione e oppressione, è diventato simbolo di libertà.
Da “Wind of Change” degli Scorpions, la canzone simbolo della caduta del Muro e della riunificazione della Germania (dove è tuttora la canzone più venduta di sempre). A “Heroes” di David Bowie; “A Great Day for Freedom” dei Pink Floyd; “Alexanderplatz” di Franco Battiato e Milva, solo per citarne alcuni dei più famosi.
Alla lista non può mancare Bruce Springsteen che nel luglio del 1988 tenne un concerto a Berlino Est davanti a 300 mila persone. Durante la cover di Bob Dylan “Chimes of Freedom” (in italiano “Le Campane della Libertà”) fece un discorso divenuto leggendario che contribuì ad aprire le prime crepe nel Muro: «Non sono venuto qui per cantare a favore o contro alcun governo, ma soltanto a suonarvi rock ‘n’ roll, nella speranza che un giorno tutte le barriere possano essere abbattute.».
Come ha sottolineato qualche anno fa l’ex presidente della Repubblica Federale Tedesca, Christian Wulff:
«Il muro non è caduto nel 1989, ma fu buttato giù!»
e anche la musica ha dato le sue picconate.
Faccio un passo ancora più indietro, nel 1979. Quando il mondo intero era diviso in due da quel Muro. Tra le tante storie che quei mattoni possono raccontare, ce n’è una che è rimasta cristallizzata per sempre in una canzone. È nata su una panchina, una delle tante davanti a quel muro. È nata dalla fantasia e dalla poesia di Lucio Dalla. È nata Futura:
La scrissi a Berlino. Non avevo mai visto il Muro e mi feci portare da un taxi al Checkpoint Charlie, punto di passaggio tra Berlino Est e Berlino Ovest. Mi sedetti su una panchina e mi accesi una sigaretta. Poco dopo si fermò un altro taxi. Ne scese Phil Collins, si sedette sulla panchina accanto alla mia e anche lui si mise a fumare una sigaretta. In quei giorni a Berlino c’era un concerto dei Genesis, che adoravo. Ebbi la tentazione di avvicinarmi a lui per conoscerlo, per dirgli che anch’io ero un musicista. Ma non potevo spezzare la magia di quel momento. Rimanemmo mezz’ora in silenzio, ognuno per gli affari suoi. In quella mezz’ora scrissi il testo di Futura, la storia di due amanti, uno di Berlino Est, l’altra di Berlino Ovest che immaginano di fare un figlio…
È solo una canzone. Sono solo musica e parole, ma quanta storia racconta. È una canzone di speranza nata in un luogo dove mille speranze sono state distrutte. È una canzone di guerra, di un amore nato in un momento in cui anche il destino di una giovane coppia dipendeva dalle decisioni di due superpotenze enormi ed invisibili. “Non esser così seria, rimani. I russi, i russi, gli americani. No lacrime, non fermarti fino a domani”.
È una canzone di terrore, di una generazione di padri e madri che coraggio ne hanno avuto tanto per sognare un futuro che poteva essere spazzato via da un pulsante rosso: “Ma non fermarti voglio ancora baciarti. Chiudi i tuoi occhi non voltarti indietro. Qui tutto il mondo sembra fatto di vetro. E sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio”.
È solo una semplice canzone, che Berlino e quel Muro non li nomina mai.
Una canzone diventata un simbolo di speranza, di futuro e di amore.
Aspettiamo che ritorni la luce
Di sentire una voce
Aspettiamo senza avere paura, domani