Ormai da un significativo periodo di tempo non si sente più parlare di “tot” copie vendute di un disco, ma il vanto principale degli artisti è screenshottare il traguardo dei primi posti sulle varie piattaforme d’ascolto streaming (es. Spotify) o di vendita (es. Itunes). Oppure postare un bel selfie accanto al quadro con il disco d’oro, di platino, doppio platino e via dicendo. Per vincere il Disco d’Oro, o ancor meglio di Platino, sicuramente saranno tantissime le copie vendute, la conferma di un gran successo di vendite. O almeno così viene percepito dal pubblico. Lo sapete quante copie vendute servono per ottenere un disco d’oro in Italia? 25.000.
Sconfortante, soprattutto se pensiamo che in origine questo premio è nato nel 1942 in America per riconoscere il successo senza precedenti del 78 giri di Glenn Miller “I Know Why/Chattanooga Choo Choo” che in 90 giorni vendette 1 milione di copie. Il premio si diffuse poi in tutto il mondo diventando l’attestato ufficiale del successo di un disco, insieme al Disco di Platino per i 10 milioni di copie vendute e il Disco d’Argento per 500.000.
In America è tutto più grande e non si possono paragonare i due mercati? Guardiamo alla nostra Italia: il primo Disco d’Oro se lo aggiudicò Natalino Otto con “Non dimenticar (che t’ho voluto bene)” nel 1952; nel 1957 Marino Marini vinse il premio con “Guaglione”, che vendette un milione di copie solo in Francia; Bobby Solo con “Una lacrima sul viso” ne vinse due (per 2 milioni di dischi venduti). Mentre il primo 33 giri ad ottenere il disco d’oro in Italia fu Franco Battiato con “La voce del padrone” nel 1981. (E solo tra parentesi per onore di cronaca “Nel blu dipinto di blu” (1958): ha venduto 22 milioni di dischi e si è aggiudicato il doppio platino, ma è un successo planetario in questo caso fuori contesto.)
Quindi, brevemente: un tempo 1 milione di copie, oggi 25.000.
Sconfortante.
Le soglie di vendita sono state ribassate negli anni, complice il cambiamento di mercati e anche il bisogno di adeguarsi alle vendite online e ascolti in streaming. In Italia gli ultimi grandi adeguamenti sono avvenuti da gennaio 2018 con l’inserimento nel conteggio anche degli ascolti in streaming. Come funziona? Dal 2010 FIMI, in collaborazione con GfK che rileva le vendite dei prodotti fisici e delle singole tracce online, ufficializza le certificazioni di vendita di ogni singola registrazione musicale pubblicata e venduta in Italia.
Oggi per lo streaming sono presi in considerazione solo gli ascolti derivati da servizi premium (effettuati da abbonati paganti), gli ascolti da un profilo free (effettuati da utenti non paganti) non vengono conteggiati.
Ad esempio, per il calcolo delle vendite di un singolo in digitale si è deciso che 130 streaming equivalgono ad 1 download digitale per minimo di 30 secondi di ascolto (quindi 130 ascolti di 30 secondi di un brano fanno 1 vendita). Per gli album il conteggio è più complesso, qui le note metodologiche di FIMI dal 2018.
Queste le soglie di certificazione attualmente in uso per la certificazione Album, Compilation e Singoli Online del FIMI che potete trovare nel sito ufficiale cliccando qui.
- ORO oltre le 25.000
- PLATINO oltre le 50.000
- DOPPIO PLATINO oltre le 100.000
- TRIPLO PLATINO oltre le 150.000
- QUADRUPLO PLATINO oltre le 200.000
- 5 PLATINO oltre le 250.000
- DIAMANTE oltre le 500.000
Ogni Paese ha le sue regole (negli USA il Disco d’Oro oggi si raggiunge a quota 500.000 copie vendute) e la quantità minima di copie vendute dipende da diversi fattori come il territorio, abitanti e altri parametri. Inoltre, per alcuni si riferisce alle copie distribuite e vendute ai negozi (quindi non necessariamente acquistate dall’utente finale) altri invece considerano le copie effettivamente acquistate dai singoli utenti.
Non voglio entrare nella polemica di come un ascolto di 30 secondi in streaming possa essere paragonato ad un vero interesse, neanche a quanto e come possano essere “taroccati” questi dati. Penso a quando uscì il primo disco dei Beatles: il manager Brian Epstein ne fece comprare copie in vari negozi, sollecitandoli a presumere un interesse del pubblico che ancora non c’era. Scrive Philip Norman nella biografia di John Lennon che Epstein ordinò 10 mila copie di “Love Me Do”, ossia dieci volte più del quantitativo che avrebbe mai potuto vendere nel proprio negozio, pur di garantire l’ingresso del brano nella classifica dei 20 dischi più venduti. Gli altri negozi riordinarono, il resto lo sappiamo.
Forse un tempo era più facile imbrogliare le classifiche. Però è recentissimo lo scandalo seguito alla pubblicazione dell’ultimo album di Fedez “Paranoia Airlines” (25 gennaio 2019). In tantissimi utenti hanno fatto notare su Twitter delle strane attività sui loro profili Spotify: hanno segnalato di essersi ritrovati nella propria cronologia decine di ascolti dei brani di Fedez, senza che questi brani fossero stati effettivamente mai ascoltati oppure: “Ogni canzone che seleziono si interrompe per far partire l’album di Fedez”. E ancora: “È Spotify che non funziona o capita solo a me che ti obblighi ad ascoltare Fedez?”. “A me questa mattina qualsiasi canzone cliccassi dopo 3 sec in automatico mi partiva il disco di Fedez!”. Fedez e Spotify hanno rassicurato la regolarità del servizio smentendo ogni accusa. Certo che è stato qualcosa di quantomeno bizzarro!
Penso che tutto ciò sia un esempio di come poco ci si informi su quanto e cosa c’è dietro alla Musica, di come le belle capture markettare e un disco placcato d’oro in una bella cornice possano bastare a far credere di aver raggiunto alte vette di successo, di quanto poco venda la musica oggi.
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